di Andrea Etrari – Verona
Ricorre proprio in questi giorni il 40esimo anniversario delle Olimpiadi invernali di Sarajevo: il giornalista veronese Lorenzo Fabiano, profondo conoscitore dell’ex Jugoslavia e degli sport della neve, ha recentemente scritto un libro dal titolo “Sarajevo ’84. I giorni della concordia”. Ci è sembrato il caso di parlare con il diretto interessato di questi storici Giochi Olimpici che furono l’ultimo sogno di Tito che nel 1977 vide assegnare alla Jugoslavia la prima Olimpiade invernale di un paese del blocco comunista. Il Dittatore non riuscì a presenziare alla “sua” Olimpiade (morì nel 1980) che nei suoi intenti doveva essere l’icona di una Jugoslavia unita e aperta al mondo: «Così non era affatto – racconta Fabiano – Nel febbraio del 1984 eravamo nel bel mezzo di due boicottaggi dettati dalla Guerra Fredda: Mosca 1980 e Los Angeles 1984, ma a Sarajevo ’84 parteciparono tutti. Fu un successo di immagine, 1274 atleti provenienti da 49 Paesi, piste bellissime, 5000 volontari, organizzazione perfetta tipica dei paesi dell’est, insomma Sarajevo al centro del mondo».
Cos’hai voluto raccontare nel tuo libro? «Il legame con Sarajevo che racconta due facce della stessa medaglia: felicità e tristezza. Sarajevo nel 1984 ha ospitato le più belle Olimpiadi invernali mai fatte, a detta di Samaranch, Presidente del C.I.O. dal 1980 al 2001, e nel 1992, soltanto 8 anni più tardi, diventa la città martire dalla guerra nei Balcani. Dai cinque cerchi olimpici segno della pace, della gioia e della fratellanza all’esatto opposto, sintetizzato dalla scritta “Pazi Snajper”, “Attenzione Cecchini”. Insomma, una storia incredibile».
Incredibile pure il fatto che fino a 5 giorni prima dell’inizio dei Giochi, non c’era neve a Sarajevo: «Sì, nella macchina organizzativa imponente mancava un dettaglio non da poco: la neve. Nella notte che precedette le gare, come per magia, nevicò talmente copiosamente che non si sapeva più dove mettere la neve. Ci fu bisogno dell’intervento di migliaia di volontari per spianare le piste e il programma delle gare su stravolto».
Fu anche l’Olimpiadi dei grandi assenti: «Purtroppo è così: erano altri tempi e non furono ammessi ai Giochi i cosiddetti “professionisti” Ingemar Stenmark, probabilmente il più grande sciatore di tutti i tempi e Hanni Wenzel, campionessa olimpica uscente sia in slalom, che in gigante a Lake Placid 1980. Escluso anche Marc Girardelli, austriaco di nascita ma che per contrasti con la sua federazione gareggiava per il Lussemburgo: non avendo ancora ricevuto la cittadinanza lussemburghese non poté partecipare all’Olimpiade».
A Sarajevo tuttavia vennero fuori altri grandi campioni e soprattutto personaggi leggendari: «Certamente, a cominciare dai gemelli americani Mahre, con Phil che vinse lo slalom gigante davanti al fratello Steve, all’altro americano Bill Johnson, un pazzo furioso dal passato difficile con un’adolescenza trascorsa entrando e uscendo dal riformatorio, che colse la medaglia d’oro in discesa libera; Jure Franko, l’atleta di casa e portabandiera della Jugoslavia, che conquistò una storica medaglia d’argento in gigante e diventò una sorte di eroe nazionale; Michela Figini, svizzera, oro in discesa libera a soli 17 anni».
Fuori dalla sci alpino, quali altri nomi si fecero notare il quella storica Olimpiade? «Direi Katarina Witt, pattinatrice della Germania dell’Est che iniziò qui la sua gloriosa carriera, il finlandese Matti Nykänen, dominatore assoluto del salto con gli sci del XX° secolo e considerato uno dei più grandi campioni di tutti i tempi della specialità, il fondista svedese Gunde Svan che vinse 4 medaglie e la finlandese Marja-Liisa Hämäläinen che portò a casa 3 ori nei 5, 10 e 20 km di sci di fondo».
Magro il bottino dell’Italia che nei giochi invernali del 1984 conquistò soltanto 2 medaglie: «Per noi erano gli anni del passaggio dalla “valanga azzurra” al “fenomeno Tomba” e nello sci alpino maschile il miglior risultato fu di Oswald Totsch che arrivò quinto nello slalom speciale. Alex Giorgi fu settimo in gigante e De Chiesa uscì nella prima manche dello slalom. Per gli uomini le soddisfazioni arrivarono dalla slittino dove Paul Hildgartner portò a casa la medaglia d’oro, bissando quella conquistata 12 anni prima a Sapporo».
Per l’Italia, Sarajevo 1984 è l’Olimpiade di Paola Magoni: «Oro pazzesco in slalom per Paoletta, che fu il primo della storia dello sci femminile italiano alle Olimpiadi. A 19 anni, fece una gara incredibile, in mezzo alla nebbia risalendo dal quarto posto nella prima manche. Un pezzo di storia del mondo del nostro sci fu scritta proprio sulla pista di Jahorina».
Nei prossimi giorni tornerai a Sarajevo per le celebrazioni del 40nnale: «Sì e tra le varie celebrazioni è in programma il “Telemach Speed Camp”, inaugurato lo scorso anno alla presenza dell’Ambasciata d’Italia e dei campionissimi Paola Magoni e Kristian Ghedina. Si tratta di un camp per giovani sciatori organizzato dal Club Olimpico di Sarajevo che farà vivere loro un’esperienza indimenticabile e sarà una magnifica occasione per conoscere gli atleti che hanno fatto la storia dello sport. Una storia che è passata anche e soprattutto dalle Olimpiadi di Sarajevo e che vede gli atleti di allora passare idealmente il testimone ai giovani sciatori bosniaco-erzegovesi e internazionali di domani».
E a proposito di domani, tornerà il grande sci nella capitale della Bosnia Erzegovina? «Intanto Sarajevo dallo scorso anno è tornata ad ospitare la Coppa Europa, ma gli organizzatori locali sperano in un futuro non troppo lontano di riportare anche il circo bianco della Coppa del Mondo».