Campione nel calcio con Fiorentina, Lucchese Torino, non sollevò il braccio destro per salutare i gerarchi- Quel gesto gli costò il Mondiale del 1934
di Sebastiano Ronca*
Liceo Scientifico a indirizzo sportivo Belfiore di Mantova
La storia e lo sport spesso si intrecciano. Gli eventi storici hanno una rilevanza tale da incidere profondamente sulla vita delle persone, segnandola a volte in maniera permanente. Il 13 settembre 1931 la vita di Bruno Neri si intrecciava con una delle peggiori pagine mai scritte della storia italiana. Proprio quel giorno si inaugurava a Firenze il nuovo stadio di calcio, fatto costruire da Mussolini: lo stadio in pieno stile fascista aveva addirittura a forma di D, per Duce.
L’inaugurazione prevedeva una partita amichevole tra Fiorentina e Admira Vienna. Prima del calcio di inizio le due squadre si posizionarono a centrocampo: i giocatori della squadra di casa con lo sguardo alla tribuna, sollevarono il braccio destro. Lo fecero tutti, tranne uno. Bruno Neri restò fermo con le braccia lungo i fianchi. Sfidò immobile il podestà Giuseppe della Gherardesca e i gerarchi fascisti in tribuna. Un rifiuto storico che, si dice, gli costò il Mondiale del 1934. (v. foto)
Ma andiamo per ordine. Bruno Neri nacque a Faenza il 12.10.1910; era il secondo di due figli. Il padre era un funzionario delle ferrovie dello Stato e svolgeva l’incarico di capostazione a Faenza. Frequentò con successo le scuole superiori di agraria e poi si iscrisse all’Università di Napoli. Era appassionato di arte e letteratura. La sua vera passione era il calcio: a 14 anni iniziò a giocare con il fratello nei ranghi del Club Atletico Faenza, dove già nel 1926 diventò mediano titolare.
Nell’estate del 1929 venne acquistato dalla Fiorentina e il 17 ottobre dello stesso anno esordì in prima squadra, dove giocherà fino al 1936, anno in cui passò alla Lucchese. Nonostante gli anni felici a Firenze, Bruno si appassionò alle vicende storiche e cominciò a farsi idee molto personali su ciò che gli stava succedendo attorno,
Ritornando a quel pomeriggio del 1931 a Firenze, l’episodio rappresentò per Bruno un cambio di rotta: quelli erano gli anni ruggenti del Fascismo in Italia. A nove anni dalla Marcia su Roma ormai il potere era stabilmente nelle mani di Benito Mussolini e ogni attività contraria al regime veniva vista di cattivo occhio e, dunque, rimessa in riga a suon di maniere forti. I momenti di sport rappresentavano per Mussolini un momento di propaganda e servivano a dimostrare quanto il regime stimolasse positivamente alla forma fisica e al successo,
Quel giorno del ’31 Bruno Neri prese una posizione netta: per lui anche un semplice saluto era un atto di propaganda da combattere. In quell’ epoca erano sempre più frequenti i contatti di Bruno con il cugino Virgilio Neri, notaio a Milano, che faceva parte di organizzazioni antifasciste. Grazie al cugino entrò nella Resistenza ed entrò in contatto con personalità come Don Sturzo e con il futuro presidente della repubblica Gronchi.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Bruno aderì al gruppo partigiano “Ravenna” con il nome di battaglia ‘’Berni’’. Compì diverse azioni sull’Appennino allo scopo di organizzare il ricevimento dei lanci degli aerei alleati di armi e materiale bellico. Fu attivo anche con Radio Zella che trasmetteva informazioni militari agli alleati.
Era il 10 luglio del 1944 quando insieme all’amico e comandante del “Ravenna” Vittorio Bellenghi, perlustrando una strada nei pressi dell’Eremo di Gamogna, che avrebbe dovuto condurre il suo Battaglione a recuperare un aviolancio alleato sul Monta Lavane, incrociò un gruppo di nazisti. Nel breve combattimento entrambi restarono uccisi.
Già l’11 luglio 1946 il Consiglio Comunale di Faenza deliberò di intitolare a Bruno Neri il campo sportivo e di affiggere una lapide sulla sua casa natale: «Dopo aver primeggiato come atleta nelle sportive competizioni rivelò nell’azione clandestina prima e nella guerra guerreggiata poi magnifiche virtù di combattente e di guida. Esempio e monito alle generazioni future».
Anche Torino gli ha dedicato una targa commemorativa, posta in piazza san Gabriele da Gorizia.
Dalla parte giusta, fin da quel pomeriggio a Firenze. Per non dimenticare il peso dell’oppressione politica, gli orrori della guerra, il sacrificio di donne e uomini che in quegli anni lottarono per la libertà e la dignità del Paese.
*Sebastiano Ronca è studente del quinto anno presso il Liceo Scientifico a indirizzo sportivo Belfiore di Mantova