di Carlo Santi – Redazione Panathlon Roma
Rintocca l’ottavo anno da quando il destino si è preso il professor Carlo Vittori. Quel giorno della vigilia di Natale del 2015 dicembre aveva arabescato di brina i prati intorno alla casa di Ascoli del professore che era andato a riposare il pomeriggio senza più svegliarsi. Se n’è andato nel sonno portandosi via la sua cultura, i suoi modi spesso bruschi, il suo amore per l’atletica. Aveva 84 anni e aveva guidato tanti atleti anche se il suo nome rimarrà legato a Pietro Mennea pur non potendo dimenticare che Vittori si è occupato di Sara Simeoni portandola al primato del mondo di 2,01 nel salto in alto, di Donato Sabia, anche di Marcello Fiasconaro.
Vittori e Mennea, che coppia. Potremmo dire amore e odio nei loro anni a Formia. Pietro dava rigorosamente del lei al suo maestro, si arrabbiava se il professore ritardava un solo minuto l’inizio dell’allenamento, pretendeva sempre il massimo per arrivare ad essere il migliore. E il migliore lo è stato, Mennea, con la conquista del record del mondo dei 200 metri a Città del Messico nel settembre del 1979, l’oro olimpico a Mosca 1980 e, prima, alla splendida doppietta 100-200 agli Europei di Praga 1978.
Un faro, Vittori è stato un faro per la velocità mondiale, un autentico punto di riferimento per tanti allenatori. Era un perfezionista, non trascurava nulla e studiava ogni particolare della metodologia dell’allenamento. Ha spaziato nel mondo dello sport sempre con professionalità e quando il mondo dell’atletica lo ha messo in disparte – nella vita capita sovente di avere alti e bassi e dover anche solo momentaneamente lasciare la scena – si è trasferito nel calcio andando a Firenze per seguire il recupero fisico di Roberto Baggio e poi ha lavorato con il suo amico Carlo Mazzone quale preparatore atletico del Pescara.
L’esperienza sportiva di Carlo Vittori parte in gioventù: otto volte azzurro tra il 1951 e il 1954, una presenza alle Olimpiadi del ’52, due volte campione italiano con la maglia dell’Asa Ascoli, nei 100 metri nel 1952 e nel 1953, prima di intraprendere la carriera di allenatore. È diventato il capo settore della velocità azzurra dal 1969 al 1986 prima di essere avvicendato l’anno seguente per ragioni politiche non certo tecniche.
Vittori, Mennea, Formia. Tre nomi che si legano perfettamente. A Formia Carlo e Pietro hanno costruito i loro successi, a Formia hanno vissuto una vita monacale nel loro eremo e da lì sono partiti alla conquista del mondo. Quando il 21 marzo 2013 Mennea è morto, Vittori commosso davanti alla bara del suo allievo lo ha ricordato così: «Di Pietro ho un ricordo lungo una vita, che non posso dimenticare. Lo vidi correre per la prima volta ai campionati italiani giovanili, sulla pista di Ascoli Piceno, nel 1968, nei 300 metri: lì capii che era un talento naturale, una forza della natura. Lo conobbi nel 1970, quando il suo allenatore Mascolo lo portò a Formia».
È sempre stato in lotta con tutti, il professore, uomo dal carattere spigoloso. Un mese prima di andarsene – era il novembre del 2015 – lo abbiamo incontrato a Formia dove non andava da anni. Si festeggiava il compleanno numero 60 della Scuola di atletica Bruno Zauli. La Federazione gli avrebbe consegnato la Quercia di terzo grado, la massima onorificenza della Fidal, ma lui, irascibile come sempre, chissà perché si è rifiutato di entrare nell’Aula Magna. Così, quel vessillo gli è stato consegnato qualche giorno più tardi a Roma nel Salone d’Onore del Coni.