ENTRATI TRA I MITI DEL CICLISMO INTERNAZIONALE
di Ludovico Malorgio – Redazione Lecce Area8 Puglia Calabria Basilicata
LECCE – Nel dicembre scorso ci hanno lasciato per sempre Ercole Baldini e Vittorio Adorni, due grandi corridori che, come dicevano i latini, nel nome avevano il loro destino, la forza e il successo, che hanno espresso e conquistato con le loro grandi imprese. Vincitori entrambi un Giro d’Italia e un Campionato del mondo, di ‘classiche’ su strada e a cronometro hanno infiammato gli animi degli appassionati di ciclismo tra gli anni ’50 e ’80 conquistando un posto di rilievo nella storia del ciclismo mondiale. I più giovani hanno potuto ammirare ed esaltarsi soltanto per le imprese del grande Vittorio. Gli sportivi più ‘datati’, come me, hanno goduto anche di quelle del campione romagnolo. Quanti leggeranno questo articolo si renderanno conto che, per certi aspetti, è il racconto della mia passione per il ciclismo, sbocciata da ragazzino, nutrita in sella a una bici, coltivata da giornalista con un microfono di Telelecce (tra le prime tv libere, sorta nel 1974) fino ad età matura, poi solo con la carta stampata. Ero un ragazzino, nel lontano 1958, quando scoprì questo sport. All’epoca mi recavo ogni mattina all’unica edicola di Cavallino, il mio paese a 4 km da Lecce, per acquistare la Gazzetta del Mezzogiorno di cui mio padre Antonio era assiduo lettore. Era una specie di rito, abitavamo in periferia, inforcavo la bici e raggiungevo il centro. La ‘Gazzetta’ costava 30 lire, spesso trattenevo il resto della banconota da 50. Imparai a leggere il giornale sullo storico quotidiano del sud e, al contempo, a conoscere ed apprezzare il ciclismo attraverso le cronache del Giro d’Italia a cui in estate veniva dato ampio spazio. Cominciai ad amare i campioni di quegli anni (’50 e’60 ndr), Baldini, Taccone, Balmamion, De Filippis, Van Looy, Zilioli, Bitossi, Bobet, Anquetil, tanto per fare qualche nome, mentre cominciavano ad affacciarsi alla ribalta nazionale Adorni, Gimondi, Motta e Eddy Merckx, il campione belga per il quale fu coniato l’appellativo di ‘cannibale’. Per dirla tutta, in quegli anni mi appassionai anche ad un clamoroso fatto di cronaca nera, il “giallo di via Monaci’ di Roma, conosciuto anche come ‘caso Fenaroli’ dal nome dell’imprenditore Giovanni Fenaroli che, nel settembre ’58, fece strangolare la moglie Maria Martirano da un sicario per intascare un’assicurazione sulla sua vita di 150 milioni di lire. Ricordo che questo delitto su commissione spaccò gli italiani tra innocentisti e colpevolisti, com’era già accaduto nel ciclismo tra i tifosi di Coppi (coppiani) e di Bartali (bartaliani). Per la cronaca, il mandante Feraroli e l’esecutore Raul Ghiani furono condannati all’ergastolo. Tornando all’argomento, in quegli anni non si era ancora spenta l’eco delle grandi imprese compiute dai due grandi campioni.
Bartali si era ritirato nel 1954, mentre Fausto Coppi raccoglieva gli ultimi scampoli della sua straordinaria carriera nel 1957 con la vittoria al Trofeo Baracchi, in coppia proprio con Ercole Baldini, un corridore romagnolo, giovane emergente tra i ‘prof’. Quella prima vittoria di Baldini passò quasi inosservata ai miei occhi. Mi aveva colpito soprattutto il suo nome, Ercole, l’eroe dalla forza sovrumana, che nella rappresentazione mitologica libera il mondo dai mostri e rappresenta così il trionfo della virtù sul male. In realtà, approfondendo la conoscenza, scoprì che Baldini aveva già fatto grandi cose da dilettante. Nel ’57 aveva stabilito il nuovo record dell’ora (km 46,393) strappandolo al grande campione francese Jacques Anquetil. L’anno prima, a ‘Melbourne 1956’ aveva conquistato l’oro olimpico nella prova su strada e, nello stesso anno, era diventato Campione Italiano e Mondiale dell’inseguimento individuale su pista. Il mio colpo di fulmine, se vogliamo chiamarlo così, avvenne al Giro d’Italia del 1958 che Baldini affrontava con la maglia di campione d’Italia in carica. A distanza di circa sessant’anni conservo nitidissimo il ricordo del suo arrivo solitario al traguardo di Boscochiesanuova. Lo rivedo con la sua maglia tricolore, in realtà tre fasce più o meno scure sullo schermo del televisore in bianco, mentre spunta da un curva, percorre l’ultimo strappo in salita e taglia il traguardo, primo davanti al lussemburghese Charly Gaul, tra i grandi scalatori di tutti i tempi, vincitore di due ‘Giri’ ed un ‘Tour’. Per Baldini il 1958 fu una anno straordinario: vinse il Giro, riconquistò il titolo di campione d’Italia e vinse il ‘Mondiale’ su strada a Reims mettendo in fila Rik Vasteenberger e Rick Van Looy, due grandissimi campioni belgi. Fu una vera apoteosi. A ragione si parlava del nuovo Coppi e per lui fu coniato il nomignolo di ‘Treno di Forli’, essendo nato a Villanova, un comune di quella provincia. A 25 anni Baldini aveva vinto praticamente tutto, anche tante classiche, gli mancava il Tour de France, ma aveva i mezzi per tagliare il traguardo di Parigi in maglia gialla e dominare la scena internazionale per molti anni. Negli anni successivi, invece, iniziò un inspiegabile declino, una parabola discendente interrotta solo da una vittoria di tappa al Tour e un Giro di Lombardia. Come tanti suoi tifosi, provai amarezza e delusione. Si attese invano un suo ritorno in grande stile, che non avvenne mai. Si parlò di seri problemi nel contenere il peso a seguito di un’operazione di appendicite. Il campione romagnolo si ritirò a 31 anni, età in cui altri campioni hanno colto i maggiori successi. Ercole è morto a 89 anni alcuni mesi or sono, il cuore del ‘treno di Forlì, si è fermato per sempre il primo dicembre del 2022. E’ stato un fuoriclasse, l’unico campione italiano ad aver vinto l’oro olimpico, il campionato del mondo e il ‘Giro’. E’ ricordato per i suoi trionfi e per colmato con le sue imprese il vuoto tra la grande epopea di Fausto Coppi e le grandi imprese di Felice Gimondi. Ai Suoi tifosi, che come me, hanno avuto il piacere di ammirarlo nella sua breve ed esaltante carriera è rimasto il rimpianto di non poterlo annoverare tra i ‘grandissimi’ della storia del ciclismo, in parte mitigato dall’essere stato appassionato testimone delle sue entusiasmanti vittorie. Addio Ercole!
VITTORIO ADORNI – Alla vigilia dello scorso Natale ci ha lasciato Vittorio Adorni. Avrei scritto con piacere di Lui, un campione che abbinava alla sua classe, qualità non comuni di atleta ed esemplare uomo di sport. Ritengo superfluo aggiungere altro a quanto hanno già pubblicato illustri ed autorevoli colleghi sulla rivista del nostro Club. Mi permetto di sottolineare che Vittorio è stato anche un grande comunicatore, non a caso, a fine carriera, fu scelto da Sergio Zavoli come commentatore del celebre ‘Processo alla tappa’ di sua invenzione. Mi limito a ricordare con piacere e commozione l’incontro del nostro Club con Vittorio Adorni, presidente del Panathlon International in carica nel 2003, che documentiamo con la foto. Lo incontrammo in occasione della partenza da Lecce dell’86° Giro d’Italia, che lo vedeva tra i più competenti e coinvolti commentatori televisivi. Resterà indelebile tra noi panathleti leccesi l’immagine di un Campione ed Uomo sempre disponibile e sorridente, ammirevole Panathleta e Amico.