Di Massimo Rosa/Direttore Panathlon Planet
Nell’antica Grecia qualsivoglia attività sociale era sempre rivolta e celebrata agli dei. Nel culto politeista di questa società anche lo sport non ne era esente, tanto che da essa ebbe origine il “culto agonistico”.
Dunque agli dei erano dedicate le gare con solenni riti religiosi.
Un esempio ancora attuale, anche se naturalmente simbolico ma significativo, è ai giorni nostri l’accensione del sacro fuoco di Olimpia, fuoco che era dedicato al sommo Giove.
E chi cingeva la corona della vittoria (Nike) era accostato alla divinità.
Un vantaggio non da poco per il fortunato vincitore, perché grazie al successo sportivo avrebbe ricavato onori e gloria che gli avrebbero permesso di condurre una vita agiata.
Ma non era il successo materialista l’elemento principale per il vincitore, bensì erano le profonde radici religiose, cioè l’attenzione degli dei che gli avevano dedicato, quello che sarebbe per noi cristiani una sorta di “unto dal Signore”, dunque un prediletto dalle divinità.
Con il termine agone (in greco antico ἀγών) s’indicava, e s’indica ancor’oggi, il luogo del confronto, dove avveniva il fatto sportivo, dove si discettava di filosofia, come di politica, cioè di tutto ciò che presumeva dibattito. Di qui l’agonismo.
Se per Pièrre de Coubertin ricordato per “L’importante è partecipare e non vincere”, per il mondo ellenico era tutto il contrario: bisognava vincere per accattivarsi gli dei ed il rispetto della gente.
Gli atleti prima di scendere in campo nelle diverse discipline gridavano: “O corona o morte” a significare che solo la vittoria aveva importanza. Arrivare secondi o terzi non aveva alcun significato, anzi era una sorta d’infamia se non un disonore (certamente meglio ai giorni nostri).
Il Fair Play non trovava certamente spazio in quella società.
La vittoria era di una sola persona, poiché il gioco di squadra non esisteva.
L’uomo voleva essere celebrato per quello che aveva fatto grazie alle sue forze e grazie alle sue capacità, non condividendo con alcuno, se non con la propria famiglia, il successo divino.
Non v’era evento di sport senza che ve ne fossero altri in parallelo dedicati alla cultura. Era il momento degli aedi, cantastorie, che esaltavano le gesta degli eroi. La stessa Iliade, infatti si dice, fu tramandata da questi personaggi che raccontavano le imprese di quei miti a noi conosciuti sui banchi di scuola.
Si capisce allora perché lo sport abbia una matrice così profonda di valori, la base che consciamente od inconsciamente attingiamo da qualche millennio a questa parte.
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