Di Tonino Raffa, già inviato di “Tutto il calcio minuto per minuto”
lI suo umorismo pieno di ironia spiazzante, i suoi testi originali, le sue battute beffarde, i suoi versi, le sue canzoni scritte per l’amico inseparabile Enzo Jannacci. E ancora: la passione per i cavalli, per l’automobilismo e per il calcio, il rapporto d’amore con la radio e la televisione, i servizi straordinari per la “Domenica sportiva”, le risate a trentadue denti mentre scriveva le sceneggiature dei film di Mino Monicelli, le serate al ristorante o attorno a un biliardo con Cochi e Renato, con Gino e Michele oppure con Abatantuomo. A distanza di quaranta anni possiamo dire quanto ci manca Beppe Viola, colpito da emorragia cerebrale la sera del 17 ottobre del 1982 mentre nella sede Rai di Corso Sempione, a Milano, aveva appena confezionato il suo ultimo, frizzante servizio su Inter-Napoli.
E’ andato via presto, a soli quarantatré anni. Si è perso molte cose che gli avrebbero fatto venire l’orticaria: non c’era ancora il flusso magmatico di Internet, non c’erano i social con la loro marea di banalità, di insulti, di sgrammaticature e di strafalcioni. Ma si è perso, per contro, l’amore della moglie Franca e delle quattro figlie, l’affetto di tanti colleghi e dello stuolo sterminato dei suoi estimatori.
Nei primi anni di Rai lo avevo incrociato una volta sola. Un po’ per ragioni anagrafiche, un po’ perchè la mia carriera di piccolo cronista di periferia era iniziata nel profondo sud a tanti chilometri di distanza dalla sua Milano (zona di via Lomellina), che allora era davvero una “Milano da bere”.
Poi per conoscere Beppe e ammirare la sua grandezza (non solo di giornalista ma anche di autore, sceneggiatore, attore, umorista e barzellettiere), mi è bastato conversare spesso con Bruno Pizzul, suo compagno di lavoro in tante trasferte (nelle quali lo faceva sempre arrivare in ritardo sull’ora delle partite) e dare una occhiata a due libri : il primo della Baldini e Castoldi dal titolo (manco a dirlo, Jannacci docet) “Quelli che….” , il secondo scritto dalla figlia Marina (con la supervisione di Giorgio Teruzzi),dal titolo “Mio padre è stato anche Beppe Viola”.
Bene. Sono passati quarant’anni e scorrendo quelle pagine (Marina vive da molto tempo a Boston) ancora oggi mi accorgo quanto manca a tutti noi colui che Gianni Brera chiamava “Bepinoeu” (peppinello), quanto ci manca il suo stile graffiante, disincantato, lontano dalla retorica dilagante di adesso. Ho riscoperto il valore dei suoi servizi, pieni di ritmo e carichi di vitalità: le prime tre righe avevano l’efficacia di un escavatore, le ultime servivano per chiudere con un guizzo, con il colpo d’ala del fuoriclasse. Un esempio? Quando Calloni giocava nel Milan (anni settanta) era famoso soprattutto per le sue imprecisioni sottoporta, cioè per le reti “divorate”. Tanto da meritarsi l’appellativo di “Sciagurato Egidio”, coniato da Gianni Brera parafrasando un passo de “i promessi sposi”, sull’omonimo Egidio, seduttore della Monaca di Monza. Bene, nel finale di una partita, l’attaccante, invece di sfruttare un magnifico assist di Rivera, calciò maldestramente il pallone in direzione opposta rispetto alla porta avversaria. Commento di Viola : “la difesa del …. si salva con Calloni che…allontana la minaccia”.
Straordinario anche il Beppe in versione familiare (e meno conosciuta), quando non era in onda, raccontato dalla figlia Marina. Quello che diede alla bimba di allora diecimila lire per la merenda a scuola, quando ne sarebbero bastate cinquecento (e quel giorno merenda offerta a tutta la classe), o quello che, quando la stessa Marina aveva appena sei anni la portò allo stadio, ma la accompagnò alla metropolitana venti minuti dopo perchè non sapeva chi era il …ventitreesimo giocatore con la casacca nera!
Sono passati quarant’anni da quella “maledetta domenica”. Se mai ci dovesse essere concesso un dono divino, ci piacerebbe rivederlo in vita per pochi minuti. Il tempo per una breve lezione ai tanti sgrammaticati di oggi che popolano i social. Magari ci delizierebbe ancora con la sua celebre battuta: “le telecronache si fanno per mangiare. Le altre cose si fanno per vivere”.