IO PARLO IN ITALIANO E SCRIVO IN ITALIANO
di Ludovico Malorgio – Lecce Area 8 Puglia Calbria Basilicata
Devo dire subito, con soddisfazione, che la nostra iniziativa sta facendo presa su un larghissimo campione di persone. Persone di ogni età, cultura e appartenenza sociale e politica, ragazzi, giovani, anziani, anche i vecchi (chiamiamoli diversamente giovani ) dimostrano interesse, apprezzano e sottoscrivono il nostro manifesto appello ‘Io parlo italiano e scrivo in italiano’ . Mi é capitato di proporlo in ambienti diversi, ho sempre incontrato consenso smisurato, senza se e senza ma. Ho raccolto firme di molti giornalisti, soci di club culturali, panathleti, giovani studenti,ho messo in giro il nostro documento in ambienti istituzionali, ho già raccolto molte adesioni e sicuramente ne raccoglierò ancora tante altre. In alcuni casi, soprattutto con i ragazzi, c’é stato qualche problema per i documenti che non avevano, ma ho accettato tutto come espressione di volontà. Devo dire che il nostro documento é ben congegnato e non genera confusione. Io spiego a tutti che non é una guerra alla lingua inglese, ma un tentativo legittimo di difendere la nostra, di salvaguardarla da orrende invasioni di parole straniere. Qualcuno obietta che molte parole sono entrate nell’uso comune ed io a ribadire che non combattiamo l’ok, il week end, lo shopping, per fare un esempio, ma tutte le altre che le altre forme linguistiche che si sono diffuse negli ultimi anni. L’esperienza sta dimostrando che la guerra va fatta alla moda imperante. Gli anglicismi, purtroppo, sono alla base del linguaggio dei politici, dei tecnici, dei finanzieri e dei giornalisti. Termini inglesi o ‘inglesizzati’ arrivano dalla pubblicità, dalla televisione e dall’intrattenimento e soprattutto da internet e dai ‘social’. Imperversano gli account, i link, i follower, le fake news, il feedback , gli influencer. Nel linguaggio comune sono entrati, purtroppo, termini come audience, shopping, store, brand, step, selfie, location, trend , screening, imprinting, black friday, talk show, remake, know how, spread, restyling, freelancer. Anche il Covid ha ‘infettato’ gravemente il linguaggio corrente: covid free, lockdown, green pass, no vax, smart working, cargiver. L’unica parola italiana sopravvissuta é il ‘tampone’, forse perché il termine inglese corrispettivo é ‘tampon’, quasi uguale. L’invasione di termini inglesi, ovviamente, non poteva risparmiare lo sport. Specialmente nel calcio alle parole ‘storiche’, football, goal, offside e corner, importate , insieme con il gioco, alla fine dell’800 dall’Inghilterra, si sono aggiunte nel tempo: mister, team, pressing, assist, tackle, player, supporter, macth vinner, coach, sold out, tanto per citarne alcune. Queste sono una piccolissima parte delle circa 6.000 parole inglesi (circa 2000 adattate) utilizzate dagli italiani nella comunicazione verbale e scritta, in articoli, resoconti, conferenze, ecc. Parole che stanno provocando un imbarbarimento della lingua di Dante, che nulla a che fare con nostra cultura e la nostra tradizione. Qualcuno dice che i prestiti linguistici arricchiscono la lingua. Qualche altro sostiene che la battaglia é persa in partenza perché la lingua segue un percorso inattaccabile, che non si può indirizzare. Gli amanti dell’italiano si sforzano di trovare alternative italiane non perfettamente corrispondenti alle parole inglesi. In questo guazzabuglio ci siamo noi che cerchiamo con grande stile e coraggio di risvegliare il sentimento identitario, l’orgoglio di sentirsi italiano, il senso di appartenenza ad un popolo ricco di storia, di cultura e tradizioni che trovano anche nella lingua espressione viva e visibile. Sarà dura, ma bisogna crederci. Bisogna impegnarsi come dicevo, nelle istituzioni, scuole, associazioni, club e circoli di ogni tipo per raccogliere adesioni convinte. Di recente, come relatore in un convegno su ‘I linguaggi della comunicazione’ organizzato a conclusione di un Laboratorio di scrittura giornalistica, ho raccolto consensi e firme degli studenti del Liceo Scientifico dell’Istituto ‘Marcelline’ di Lecce, che lo ha organizzato. Nell’occasione, dopo aver stigmatizzato l’abuso di termini difficili, di acronimi usati come parole senza descrizione estesa, di metafore e modi di dire, che complicano il linguaggio comunicativo, ho dedicato una parte del mio intervento anche all’eccessivo uso di parole straniere, in gran parte inglesi, da parte dei giornalisti. Ho ribadito la necessità di usare un lessico semplice con parole italiane e di evitare linguaggi settoriali e tecnicismi nella comunicazione pubblica chiara ed efficace. Ho posto all’attenzione dei ragazzi le pericolosa deriva del linguaggio giornalistico verso il sensazionalismo, i titoli a tutta pagina, la spettacolarizzazione della notizia, la drammatizzazione dell’evento, i proclami e le frasi a sensazione, l’uso smodato di neologismi e anglicismi, in gran parte causati dalla dipendenza dei quotidiani dall’informazione televisiva. Su invito dell’altro relatore del convegno, il prof. Stefano Cristante, preside del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi del Salento, avrò un incontro in aula con i suoi studenti. Sulla base del nostro manifesto/appello ‘Io parlo italiano e scrivo in italiano’ del Distretto Italia del Panathlon International, inoltre, lo stesso corso di laurea organizzerà prossimamente, con il Club di Lecce, un seminario di studio sulla necessità di salvaguardare il linguaggio giornalistico dall’invasione degli anglicismi e di tutto ciò che può inquinare una informazione chiara, semplice e corretta, nella forma e nei contenuti. Anche questo, con le firme raccolte e che raccoglieremo, é motivo di soddisfazione per il Panathlon e per il Comitato ristretto, presieduto dal nostro direttore Massimo Rosa, che ha concepito e proposto l’appello con cui si chiede agli italiani di parlare e scrivere nella lingua di Padre Dante.
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