Adolfo Consolini, una vita dedicata allo sport con un comportamento sempre ispirato all’etica. La storia del grande discobolo nei ricordi del figlio Sergio.
Redazione Panathlon Gianni Brera Università di Verona
Intervista a Sergio Consolini, figlio del discobolo Adolfo Consolini Adolfo Consolini, nato a Costermano nel 5 gennaio del 1917, fu uno dei più grandi campioni del lancio del disco, vincitore di un oro olimpico a Londra nel 1948, tre volte primatista mondiale, per 17 anni detentore del record italiano. In oltre trent’anni di carriera disputò 453 concorsi, vincendone 375.
“Dolfo” a diciannove anni iniziò a praticare atletica, e l’anno dopo esordì in una gara di getto del peso. Il suo talento fu subito evidente.
Un giorno la Bentegodi assunse persino un bracciante per sostituirlo nell’azienda di famiglia, per permettergli di dedicare più tempo agli allenamenti. Dopo i primi titoli nazionali nel 1941 stabilì il suo primo record del mondo con 53,34 m nel lancio del disco. Nel 1948 con l’occasione Olimpica, Consolini sotto la pioggia londinese, in un duello con Tosi, si aggiudicò l’oro.
Consolini gareggiò anche alle successive Olimpiadi nel 1952. Aveva già 35 anni, a quei tempi un’età ragguardevole per un atleta. Non riuscì a conservare il titolo di campione olimpico, ma ottenne comunque una prestigiosa medaglia d’argento.
Nel 1960, a quarantatre anni di età, vinse il suo quindicesimo titolo italiano e partecipò alla sua quarta Olimpiade, che quell’anno si teneva a Roma. Fu nominato Capitano della Nazionale Italiana ed ebbe l’onore di pronunciare il Giuramento degli atleti all’apertura dei Giochi.
L’ultima gara vinta da Consolini fu a metà giugno del 1969 all’Arena di Milano, dove sbalordì tutti gli altri giovani atleti partecipanti e lo stesso pubblico e giornalisti.
Sergio, non capita a tutti di essere figli di un Campione Olimpionico. Cosa ha comportato l’importanza sportiva di Adolfo, all’interno delle dinamiche familiari negli anni della tua adolescenza? Che effetti ha ricevuto la tua formazione educativa nell’essere condotta da un campione sportivo?
“Nonostante mio padre sia scomparso quindici giorni prima dei miei 14 anni e dei suoi 53 anni, ho numerosi ricordi della mia infanzia insieme a lui. Da quando avevo quattro anni mi portava spesso con lui ai campi sportivi della Bicocca a Milano e negli anni successivi erano più frequenti le visite a varie manifestazioni sportive, dalle corse campestri, a gare di atletica dove partecipavano o suoi atleti o suoi compagni della Nazionale Azzurra. Nel periodo tra i 9 e 14 anni, mio padre stava ancora gareggiando e nel frattempo veniva invitato a trasmissioni televisive nazionali alle quali lo accompagnavo. Con una certa emozione, mi presentava i diversi personaggi televisivi con cui aveva rapporti di stima ed amicizia. La domenica era il giorno più speciale e prezioso perché nella stagione autunnale ed invernale, passavamo la mattinata al Campo della Bicocca, entrambi in tuta e scarpe da ginnastica, e avevo la possibilità insieme a altri giovani atleti del Gruppo Sportivo Pirelli di svolgere le esercitazioni che mio padre ci proponeva. Il profumo che emanavano la terra rossa e l’erba di quel campo è un ricordo caro della mia infanzia con lui. Mio padre era amorevole in tutti i suoi comportamenti verso di me e verso gli altri. Nella vita quotidiana, in mezzo alla gente, ci teneva che fossi educato e gentile con tutti pronto ad un saluto e ad un sorriso, proprio come faceva lui. Non ha mai preteso che mi dedicassi allo sport o che mi specializzassi in uno in particolare, però mi creava diversi stimoli perché potessi interessarmi ad una disciplina sportiva, per esempio aveva montato in giardino un canestro da pallacanestro, gli anelli da ginnastica artistica insieme ad una piccola palestra nell’interrato della casa con vari attrezzi che con calma mi insegnava ad usare per migliorare la mia postura e le mie qualità fisiche. Ovviamente man mano che crescevo anche il mio interesse per lo sport veniva tuttavia stimolato poiché era vissuto quotidianamente attraverso di lui. Un tratto distintivo di mio padre che lo rendeva speciale e che penso mi abbia trasmesso, è l’umiltà; nonostante sia stato un personaggio molto importante dello sport italiano non ha mai rinnegato quei valori che restano all’interno di chi arriva dal mondo contadino. L’immatura scomparsa probabilmente ha segnato non poco la mia adolescenza soprattutto perché negli anni successivi la sua presenza si sarebbe fatta più importante e necessaria. Mia madre, tuttavia, è riuscita a sopperire alla sua mancanza aiutandomi anche a maturare un po’ prima ed a ricordarmi i principi che lui avrebbe voluto tramandarmi.” Spesso è molto difficile comprendere perché certi personaggi riescano a raggiungere successi mondiali nella propria disciplina, infatti è molto in voga l’interrogativo che pone l’attenzione sulla predisposizione al successo come innata o formabile negli atleti a disposizione delle associazioni. Per quel che lei ha potuto cogliere durante la sua giovane età e con le considerazione potute sviluppare in età più matura dove pensa sia nascosta la magia, il segreto, e la forza dell’Adolfo?
“Il papà è stato un fenomeno della natura in cui si sono mescolate la forte volontà di applicazione individuale, di predisposizione allo sforzo e alla fatica, ed una naturalezza nel compiere quel tipo di gesto atletico. Nel suo fisico giovane, ancora prima che si allenasse professionalmente per aumentare le masse muscolari e la forza, quest’ ultima era già notevolmente presente rispetto alla media. L’allenamento che ha seguito è servito per affinare la dinamica del gesto atletico fino ad arrivare al miglioramento delle proprie prestazioni, con la volontà di battere ogni limite di distanza di lancio. In gara è molto importante la concentrazione, l’immaginazione dei movimenti, l’attenzione nell’eseguire il passaggio del braccio o del polso per dare una certa traiettoria. Quando il disco viene lanciato il tuo corpo sente già se andrà lontano, perché l’atleta percepisce istantaneamente se il suo movimento è stato fluido, senza attriti. Anche il saltatore in alto quando compie l’ultimo stacco da terra ha già la sensazione di come ha eseguito i passaggi precedenti e può dunque dedurre come sarà la parte conclusiva della sua prestazione. In entrambe le discipline l’atleta sa che ogni esecuzione potrà non essere perfetta ed è per questo che ogni atleta ha un certo numero di lanci o salti durante i quali deve riuscire ad eseguire il gesto perfettamente con la dovuta concentrazione. Credo che buoni e bravi atleti si possa diventare con la giusta applicazione, ma il DNA del campione è innato ed ha difficilmente paragoni. Si dice, da una statistica, che mio padre avrebbe eseguito tanti di quei lanci, tra allenamenti e gare, che il disco avrebbe percorso almeno una volta il giro della circonferenza della Terra.” Quali sono state le sensazioni e le emozioni che suo padre le ha trasmesso mentre gareggiava nell’Arena di Milano?