Se una squadra italiana o un nostro connazionale vincono un’importante gara sportiva, tutti i giornali e tutte le emittenti televisive esultano per il risultato. Perché lo fanno? Perché la vittoria in un evento importante non viene considerata soltanto un fatto privato e personale, ma un risultato collettivo. Addirittura essa assume il significato di una conferma dell’efficienza dell’intero Paese. La vittoria, quindi, può diventare una formidabile forma di pubblicità. Ma in tutti i Paesi succede proprio così ed è persino accettabile e condivisibile che lo sia, purchè non vengano innescate rischiose degenerazioni che possano portare a barare e a danneggiare gli atleti, come purtroppo avviene spesso con il doping.
di Alberto Capilupi – REDAZIONE G. Brera Università di Verona – Area1 Veneto Trentino/AA
Fatta questa premessa, perché il mondo sportivo non dovrebbe partecipare alla felicità del nostro Paese per l’assegnazione del Premio Nobel al fisico italiano Giorgio Parisi, anche se la gara per decidere a chi dare questo tipo di premio di altissimo valore scientifico e culturale non è certamente una competizione sportiva?
Tuttavia, anche se l’area non è quella dello sport, si ha pur sempre a che fare con una competizione tra persone di eccezionale valore che vengono associate ad un preciso Paese, che è proprio quello di origine, anche se magari vivono all’estero.
Inoltre, se facciamo riferimento allo sport, fino a pochi anni fa il denominatore comune che lo caratterizzava era il movimento, nelle sue espressioni condizionali e coordinative. Ma oggi non è più così, perché il bridge, ad esempio, è una disciplina riconosciuta dal CONI, anche se non richiede l’esecuzione di alcun movimento, così come la dama e gli scacchi. Il nuovo denominatore comune è ora la gara, in particolare la competizione organizzata.
Ma, da questo punto di vista, le scelte per l’assegnazione dei riconoscimenti culturali non sembrano essere molto diverse.
Applausi quindi, anzi ovazione a Giorgio Parisi, che è riuscito meravigliosamente a trovare un filo logico tra l’ordine e il caos, riducendo addirittura il conflitto relativistico tra scienza e religione.