di Ludovico Malorgio – Area 8 Puglia Calabria Basilicata
Per i modi e i tempi in cui é avvenuta, la fine del rapporto tra Davide Cassani e la Federazione Ciclistica Italiana ha destato un certa sorpresa. Tra gli addetti ai lavori era noto che il 30 settembre, a scadenza di contratto, l’attuale CT azzurro avrebbe concluso il suo mandato. E comunque non era un segreto. Invece il distacco é avvenuto in netto anticipo e con qualche nota polemica. Sgomberiamo il campo da ogni sospetto. Non c’é stato alcun complotto, era tutto previsto. Al cambio di guardia federale, con l’avvento di Coriano Dagnoni alla presidenza, un avvicendamento al vertice tecnico della federazione poteva anche starci. Questione di vedute, di impostazione, di programmi. Niente da eccepire. Potremmo aggiungere che la crisi del settimo anno sia stata fatale a Davide, ma il vero problema é ricercare le vere ragioni del licenziamento, giunto alla fine delle olimpiadi giapponesi. Ha senso anticipare i tempi e togliere al Ct la possibilità di fare l’Europeo (8-12 settembre) ed i ‘mondiali,’ che si terranno in Belgio dal 19 al 26 settembre? Se si pensava ad un avvicendamento subito dopo i Giochi, bastava metterlo in chiaro subito, come ha fatto la Federazione di pallavolo con il Ct della Nazionale Gianluigi Blengini, che già prima di partire per Tokyo sapeva che dal 1° di settembre avrebbe dovuto lasciare il posto al nuovo coach, Fefè De Giorgi, che guiderà la Nazionale fino al 2024. A Davide Cassani viene addebitato un settennato poco produttivo in termini di risultati, senza tenere in alcun conto che gli era stato affidato un ciclismo in piena crisi tecnica e di tesserati, soprattutto privo di grandi nomi. Si era inventato il Giro d’Italia ‘under 23’, proprio per individuare ed aiutare a crescere nuovi talenti . Moscon, Nizzolo, Viviani, Trentin, tanto per fare qualche nome, sono la prima, positiva, risposta a questo progetto. A Tokyo le frizioni latenti tra vertici federali e Ct sono schizzate in alto con grande clamore mediatico. Dopo la prova su strada, Cassani é stato costretto a rientrare in anticipo in Italia, per via del protocollo anti Covid , ma non ha gradito. Aveva forse intuito che qualcosa non andava per il verso giusto? La solita fuga di notizie, non si sa quanto casuale o voluta, dunque, ha reso pubblica una decisione che era già nell’aria. Sul suo successore si fanno alcuni nomi: Gianni Bugno, Maurizio Frondiest e Davide Bramati. Si prospetta anche l’ipotesi di un Ct ‘a gettone’, un selezionatore a tempo, non un commissario tecnico, che lavori continuativamente in federazione con un fidato staff di collaboratori. Come dicevamo, Cassani per i suoi detrattori paga la mancanza di risultati a livello internazionale ed , in verità, rispetto ai suoi illustri predecessori, Alfredo Martini e Franco Ballerini, questo rilievo regge. Ma c’é un difetto di fondo: Alfredo Martini ha gestito fior di campioni, come Moser, Saronni, Argentin, Frondiest, Bugno. Franco Ballerini ha avuto a disposizione i vari Cipollini, Bettini, Cunego, Petacchi, Ballan, tutti corridori di grande spessore tecnico. Cassani non ha avuto la stessa fortuna, chiamiamola ‘generazionale’. Dietro Aru e Nibali, il vuoto. Non si vede, da anni, all’orizzonte un fuoriclasse in grado di garantire vittorie ‘planetarie’, perciò coloro che vogliono speculare sulla mancanza di risultati trovano terreno fertile. In ogni caso, la fine del rapporto con lui é stata gestita male dalla Federazione. Soprattutto sul piano umano. Diciamo pure in modo dilettantistico. Ad ogni giro di boa, come dicevamo, può essere legittima una sterzata, ma ci sono modi, tempi e stile per farlo. Che non sono stati rispettati. Una riflessione sulla situazione attuale del ciclismo italiano ci porta a considerare che il dopo Cassani non sarà facile per nessuno. Non esiste una bacchetta magica per guarire tutti i suoi mali. Ci incuriosisce non tanto il nome, quanto il progetto tecnico del nuovo Ct e della Federazione. Di certo con Cassani il ciclismo perde un uomo-immagine di straordinario carisma e spessore tecnico. Un professionista, che da commentatore televisivo, ha introdotto il ciclismo in tutte le case degli italiani, e da tecnico si é inventato nuovi strumenti e modalità di lavoro. Oltre al Giro U23, pensiamo alle ‘classiche’ e alle grandi corse a tappe, che seguiva in moto per verificare di persona le condizioni dei corridori in odore di ‘azzurro’. E’ stato un innovatore e, paradossalmente, anche per questo viene accusato di eccessivo personalismo, di lavorare in assoluta autonomia, perdendo di vista il vero problema, la crisi strutturale e tecnica del ciclismo. Rivitalizzarlo non sarà un compito facile. Bisognerà rivolgere grande attenzione alle categorie giovanili, creare scuole di ciclismo, entrare con testimonial nelle scuole pubbliche per far avvicinare i ragazzi alle due ruote, recuperare i velodromi per dare nuovo impulso alla pista, ridurre i costi di affiliazione, attingere a risorse europee per creare nuovi impianti. Occorrerà una federazione sempre più vicina alle società, che stanno registrando un calo pauroso di tesserati, snellire le procedure organizzative delle corse su strada, che richiedono adempimenti molto complessi, a volte insormontabili. Il presidente Dagnoni sa bene di avere a che fare con un corpo in grave sofferenza, ma se pensa di guarirlo partendo dalla testa, si illude fortemente.