di Lorenzo D’Ilario – Roma Area 14 Lazio
Prima parte
Il Panathlon International – Distretto Italia, tramite il referente della comunicazione dell’Area 14 Lazio Lorenzo D’Ilario, ha avuto il piacere di incontrare la presidente dell’Associazione Pagaie Rosa Dragon Boat Onlus, Mariagrazia Punzo, in occasione della cerimonia di consegna del Premio Trentennale Donna Sport 1990-2020 organizzata dal Panathlon Club di Roma presso il caratteristico “Casale di Tor di Quinto” di Roma lo scorso 21 giugno. Nella prima parte dell’intervista Mariagrazia ci guiderà alla scoperta di una disciplina sportiva diffusa in tutto il mondo e sempre più praticata nelle acque italiane, anche in virtù degli straordinari benefici per la riabilitazione fisica e psicologica delle donne operate di tumore al seno: il Dragon Boat.
Innanzitutto, cosa si intende per “dragon boat” o, all’italiana, per una “barca drago”?
“Si tratta di una canoa a 20 posti dalla lunghezza di quasi 13 metri. Al suo interno vi sono dieci panche e su ciascuna di esse siedono due rematori. Il nome deriva dalla sua caratteristica testa di drago posta sulla punta dell’imbarcazione, nonché dalla coda. Oltre ai rematori vi sono anche un timoniere alla poppa e un tamburino a prua per scandire il ritmo della pagaiata”
Come si svolge esattamente la pagaiata?
“La pagaiata si compone di tre fasi. La prima è la fase aerea, quella in cui ci si prepara ad aggredire l’acqua. Poi viene la fase in acqua, quella in cui la pagaia viene introdotta in acqua. Infine, vi è la fase della tirata, il cui obiettivo è quello di far avanzare l’imbarcazione in avanti fino alla pala, al punto di ancoraggio insomma. Da qui la fondamentale importanza del compito del tamburino e del perfetto sincronismo tra i rematori. Se non si va tutti a tempo la barca oscilla e, piuttosto che procedere in avanti, è come se si dondolasse senza produrre alcuna spinta. Per questo motivo il Dragon Boat è lo sport da spirito di squadra e team-building per eccellenza”
Quanto è diffuso il Dragon Boat a livello globale?
“Il Dragon Boat nasce in Cina, dove è uno sport nazionale dalla tradizione millenaria. Basti pensare che nei festeggiamenti del Capodanno cinese il drago viene venerato come una vera e propria divinità. Questa disciplina si è molto diffusa anche nei Paesi anglosassoni, in Australia, in Nuova Zelanda e, soprattutto, in Canada, dove il territorio ricco di laghi ne agevola la diffusione. L’imbarcazione, infatti, è concepita per acque piatte. In mare non si può pagaiare, a meno che non ci sia la presenza di frangione, mentre nei fiumi soltanto se la corrente non è eccessiva”
E in Italia?
“Ad oggi nel nostro Paese vi sono 35 squadre. Oltre che dalla Federazione Italiana Dragon Boat (FIDB), di cui sono onorata di essere consigliera, lo sport è riconosciuto anche dalla Federazione Italiana Canoa e Kayak come disciplina monopala. Purtroppo ad oggi il Dragon Boat non rientra ancora tra le discipline olimpiche, di conseguenza all’interno di quest’ultima Federazione viene inquadrato nell’ambito dello sport per tutti, al pari del kayak da mare e del surf ski ad esempio. La FIDB fissa le regole delle gare e delle misure delle imbarcazioni, organizza i campionati a livello nazionale ed è collegata alla rispettiva federazione europea e internazionale. In realtà il numero delle squadre italiane sarebbe ben maggiore se il nostro mondo fosse meno frammentato. Infatti, non esiste un’unica federazione di riferimento e in Trentino, dove il Dragon Boat è molto diffuso, questa disciplina viene praticata nel circuito UISP senza passare attraverso le maglie federali”
Riguardo, invece, all’Associazione Pagaie Rosa Dragon Boat Onlus, di cui sei presidente, quali sono le sue origini?
“In occasione dei Mondiali di Roma 2002, che si sono disputati precisamente al laghetto dell’Eur, vi è stato il fortunato incontro tra la nostra fondatrice, Orlanda Cappelli, che all’epoca svolgeva il ruolo di tamburina nella Nazionale italiana di Dragon Boat, ed un equipaggio misto di donne operate di tumore al seno composto da atlete canadesi, australiane e americane. Rimasta colpita dalla loro esperienza, Orlanda nel giro di un anno riuscì a reclutare un gran numero di donne rivolgendosi direttamente all’Andos (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) e all’organizzazione della Race for the Cure di Komen Italia, la più grande manifestazione per la lotta ai tumori del seno in Italia e nel mondo. Ancora oggi possiamo vantare la presenza in squadra di Barbara e Maria, che sono le nostre veterane essendo tra le nostre fila sin dal 2003”
Come si è arrivati a scoprire gli straordinari benefici del Dragon Boat per la riabilitazione fisica e psicologica delle donne operate di tumore al seno?
“Tutto è nato in Canada nel 1996, quando il Dottor McKenzie, specializzato in medicina sportiva e fisiologia dell’allenamento all’Università della British Columbia di Vancouver, volle fare una scommessa. Fino a quel momento, infatti, nessuno considerava lo sport come una medicina e tutti credevano che in seguito all’intervento le donne dovessero stare il più possibile a riposo e non dovessero utilizzare la parte superiore del corpo per esercizi fisici impegnativi. Addirittura veniva sconsigliato alle donne persino di stirare, lavare i vetri e portare le buste della spesa. Il Dottor McKenzie, grande appassionato e praticante di canoa, fece esercitare 20 donne nel Dragon Boat e tramite una serie di misurazioni scientifiche dimostrò che la pagaiata, con il suo ciclo di carico e scarico ben diverso da quello di discipline come il sollevamento pesi, avrebbe favorito il linfodrenaggio naturale. Da allora sono stati effettuati numerosi studi che hanno confermato e avvalorato le sue tesi, uno dei quali portato avanti proprio dalla nostra Associazione insieme al Policlinico Tor Vergata. Ma non è finita qua…”
Cioè?
“Il Dottor McKenzie non aveva previsto l’incredibile sostegno psicologico che la pagaiata era in grado di apportare alle donne operate di tumore al seno. ‘Stare sulla stessa barca’ è nel nostro sport una metafora quanto mai azzeccata. A livello terapeutico, infatti, sfidare i propri limiti, condividere gli allenamenti con le compagne di squadra e prepararsi ad una gara sono di vitale importanza per sconfiggere la paura e poter tornare finalmente a una vita normale dopo l’operazione. Se prima dell’intervento il calendario è scandito dai vari appuntamenti diagnostici e dall’attesa dell’operazione, nella fase successiva di solito subentrano i tipici effetti collaterali della solitudine e la pagaia è lo strumento migliore per riacquisire fiducia in se stesse e nella vita”
A proposito di medicina, in Italia chi è il Dottor McKenzie dell’Associazione Pagaie Rosa?
“Il Prof. Claudio Botti, chirurgo senologo dell’Ifo e canoista, si diverte da matti quando viene a trovarci. La nostra Associazione è accreditata presso il Campus Bio-Medico, l’Ifo, il Policlinico Gemelli e il Policlinico Tor Vergata. Abbiamo ottimi rapporti anche con il Policlinico Umberto I e con l’ospedale Sant’Andrea, dove il nostro punto di riferimento è la Prof.ssa Adriana Bonifacino, presidente di IncontraDonna. Tanti medici sono rimasti colpiti dalla serietà del nostro lavoro e più ci cercano e più ci rendiamo conto di quanto stiamo lavorando bene. Ad esempio la Prof.ssa Alessandra Fabi, oncologa del Policlinico Gemelli, più di una volta ci ha messo in contatto con le sue pazienti”.