Qui Lecce – Ludovico Malorgio – Area8
Il Governo ha dato il via libera per l’afflusso limitato di spettatori negli stadi e palazzetti, che da 1° maggio saranno riaperti per gli sport agonistici riconosciuti da Coni e Cip. L’affluenza del pubblico sarà però limitata: 1000 spettatori negli stadi e 500 nei palazzetti. Il provvedimento, atteso e sollecitato, é stato gradito da tutti, tifosi e addetti ai lavori. Il presidente della Lega Calcio di serie A Dal Pino, peraltro, aveva predisposto e proposto un protocollo per riaprire gli impianti al pubblico in sicurezza con percentuali di presenze crescenti, partendo da mille spettatori. In un certo senso la sua proposta di apertura é stata accolta e presto sarà avviato il ritorno graduale alla normalità, che si potrà compiere, vaccini permettendo, con il prossimo campionato. Per ora si può tirare un sospiro di sollievo. Per troppi mesi, abbiamo vissuto il calcio in modo anomalo, con le gradinate deserte durante le partite, giocate senza la classica ‘cornice’ di pubblico, senza striscioni e bandiere, cori e applausi, voci e colori di accompagnamento. Per le necessarie misure anti Covid 19, i tifosi sono rimasti a casa attaccati ai televisori, in alcuni casi anche alle radioline, mentre i giocatori in campo sono stati abbandonati… al loro destino. Naturalmente, perdendo il pubblico, la sua calorosa presenza alla partita, il calcio ha perso la sua specificità, giacché proprio nel rapporto giocatori-tifosi ha la sua ragion d’essere. Entrambi, seppure con diversa intensità, vivono insieme e nello stesso momento ogni tipo di emozione: la gioia un gol segnato, l’amarezza di uno subito, la rabbia per un rigore negato, le ansie del risultato. La pandemia ha dettato nuove regole, ha cambiato il modo di vivere il calcio. Partite giocate a porte chiuse, spesso rinviate, squadre in quarantena bloccate in ritiri coatti. Sicuramente ne hanno risentito anche i calciatori, privati del sostegno, spesso decisivo, dei loro tifosi, della gioia di esultare davanti a loro con le braccia al cielo per un gol segnato o una vittoria sofferta. La chiusura degli stadi ha creato un certo disagio anche in noi giornalisti, ammessi in numero ridotto, e costretti a raccontare la partita senza il minimo coinvolgimento emotivo, in un’atmosfera surreale, distante anni luce dal clima che si istaura in una partita di calcio. Ci era capitato in passato di lavorare nelle stesse condizioni e avevamo percepito l’assenza di tifosi come un fattore, per molti aspetti, limitante. In questa tribolata stagione calcistica , abbiamo fatto l’abitudine a questa nuova condizione, imposta dal maledetto virus, che ha cambiato le abitudini di tutti, snaturando, anche consolidati modi di vivere. Finalmente ci comincia a vedere un poco di luce. Ci vorrà del tempo perché si torni alla normalità nella vita di ogni giorno. Anche il ‘ritorno’ del grande pubblico negli stadi avrà bisogno di tempo, ma il provvedimento del Governo ha aperto una breccia, indicando il percorso da compiere. Ha anche stabilito, inoltre, che l1 giugno, alla partita di esordio del Campionato Europeo di calcio, Italia – Turchia, possano assistere 12.000 spettatori, ovviamente vaccinati, pari al 25% della capienza dello stadio capitolino. La disposizione é stata accolta con molto favore da tutti, ma la Lega é andata oltre ed ha chiesto che, monitorando l’andamento della pandemia, dei contagi e delle vaccinazioni, analoga apertura possa avvenire per le ultime giornate del campionato di serie A. Ciò consentirebbe, tra l’altro, di utilizzare il nostro campionato come test per l’importante evento europeo. Per completezza d’informazione, dal 26 aprile nelle ‘zone gialle’ sarà possibile riprendere gli sport di contatto, calcetto, beach volley, basket, beach tennis e tutte le attività praticabili in spazi aperti. Dal 1 giugno è prevista la riapertura di piscine e palestre, limitatamente ad alcuni corsi. Insomma, piano, piano, si tornerà alla normalità.