-di Giorgio Ambrogi–
Antonio Rossi, 52 anni e un passato ad altissimo livello nella canoa con 3 ori, un argento e un bronzo alle Olimpiadi e 3 ori, tre argenti e un bronzo ai Mondiali, una volta conclusa la carriera si è dedicato alla politica. Il portabandiera di Pechino 2008 ha un passato nella Giunta nazionale del CONI, come assessore dello sport alla Provincia di Lecco e come assessore allo Sport e alle Politiche per i Giovani della Regione Lombardia. Ora, dopo il recente rimpasto al Pirellone, ricopre il ruolo di sottosegretario con la delega a Grandi Eventi, Sport e Olimpiadi. Con lui, abbiamo fatto due chiacchiere sullo stato dei lavori in previsione di Milano Cortina 2026.
Rossi, facciamo un primo bilancio del nuovo incarico che le è stato dato?
Già in precedenza ho collaborato con l’assessore Cambiaghi e io stesso ho fatto l’assessore. Per cui, è un mondo che conosco. A seguito di questo rimpasto di Giunta, il Presidente ha preso a sé la delega allo sport e mi ha chiesto, visto che già mi occupavo di Olimpiadi e dei grandi eventi, di seguire anche lo sport. La struttura, di fatto, è rimasta la stessa con il medesimo Direttore generale e anche la parte amministrativa non è cambiata. Al momento, mi sto organizzando per individuare delle persone che mi possano aiutare per seguire le tre deleghe che ho e vado avanti con entusiasmo e grato del lavoro finora.
Parlando di Olimpiadi a che punto è la situazione attuale? Il 2026 sembra così lontano, ma non lo è.
Sono d’accordo. Soprattutto se penso a tutte quelle opere che vanno fatte a prescindere dalle Olimpiadi. Per i Giochi non sono preoccupato perché l’organizzazione è affidata a comitati che hanno già fatto eventi di grande importanza a livello internazionale. Penso alla Coppa del Mondo di Bormio, ad Anterselva, penso ai Mondiali in Val di Fiemme e a Cortina. A Milano, poi, sono stati fatti i Mondiali di Pattinaggio di figura nel 2018. Mi preoccupa, invece, quello che riguarda le infrastrutture che servono per raggiungere le venues olimpiche. Come il collegamento tra Milano e la Valtellina, per quel che riguarda la Lombardia. Come la Statale 36, dove ci sono tanti lavori da fare, la SS 38 e i collegamenti con Malpensa e con Orio al Serio. Queste sono opere che erano già in previsione. Però, grazie alle Olimpiadi, hanno avuto la precedenza rispetto ad altre opere, anche per quel che riguarda i finanziamenti. Il Governo ha impiegato quasi un anno per decidere quali opere finanziare e con la legge 160 del 2019 ha destinato circa un miliardo diviso, quasi al 50% tra area lombarda e area dolomitica. Solo ai primi di dicembre si è arrivati alla lista definitiva delle opere e ora mancano solo le firme dei due ministri coinvolti. Poi, siamo in attesa dell’agenzia prevista che si occupi delle infrastrutture e delle opere olimpiche. Non c’è ancora, come non ci sono ancora lo statuto e la nomina del direttore, o chiamiamolo commissario, che non avrà gli stessi poteri del commissario che ha ricostruito il ponte di Genova, ma avrà il potere di dimezzare l’iter burocratico, sempre rimanendo nell’ottica della trasparenza e della legalità. In particolare, questo commissario sarà colui che andrà a parlare con ANAS e RFI per portare avanti queste opere. È già passato molto tempo. Secondo gli impegni con il CIO, sono previste due strutture, una che si occupa delle gare e una delle infrastrutture. Sarebbero dovute nascere in contemporanea, ma al momento si è mossa solo la prima. E se, devo essere sincero, avrei dato la priorità all’agenzia delle infrastrutture olimpiche perché il 2026 sembra lontano. Con i problemi che ci sono adesso sembra addirittura lontanissimo, in realtà queste opere hanno bisogno di tempo. E bisogna accelerare i tempi. Per quel che riguarda gli impianti olimpici, ci sono problemi con il PalaItalia di Santa Giulia e lo scalo Porta Romana dove verrà fatto il Villaggio. Sono opere che devono essere fatte. Per la costruzione delle strade si può anche arrivare tardi, perché comunque a Bormio in qualche modo ci si arriva, mentre il Villaggio olimpico e il palazzetto dello sport a Santa Giulia devono esserci.
Come sono messe le altre strutture in cui si svolgeranno i Giochi?
Su 14 impianti, e con questo termine intendo tutti i luoghi dove si svolgeranno le gare come la pista Stelvio, solamente il PalaItalia andava costruito da zero. Gli altri hanno soltanto degli aggiornamenti e degli ammodernamenti da subire e devono rispettare quelli che sono i criteri che impone il CIO. Però, sono pochi lavori. Certo, c’è sempre il tema di San Siro che non so come risolverà. È nel dossier con 80 mila posti per la cerimonia di apertura, ma penso che rimarrà lì perché vedo che anche per lo stadio le cose stanno andando per le lunghe e non credo cambieranno presto. C’è stata una grande spinta iniziale e adesso sembra che si sia un po’ arenato il discorso. Bene o male San Siro si è riqualificato con la Champions. Bisogna capire le necessità delle società, però credo che prima del 2026 difficilmente verrà fatto un nuovo stadio. Ovviamente io lo seguo con interesse per quanto riguarda la cerimonia di apertura, ma su questo è il comune in accordo con le società che ci deve dare dei riscontri.
Prima del lockdown avete anche iniziato un percorso di sensibilizzazione dei ragazzi nelle scuole. Che riscontro avete avuto?
C’era grande interesse. Il nostro obiettivo era e rimane quello di far conoscere attraverso la voce di chi ha vissuto le Olimpiadi, ma anche di chi sogna le Olimpiadi, i valori olimpici. Vogliamo coinvolgere le scuole e i ragazzi, per quanto si possa fare perché dipende anche dall’età, nel volontariato che sicuramente sarà necessario durante i Giochi. Si cerca di coinvolgere più persone possibili per evitare che le Olimpiadi siano soltanto degli atleti e degli addetti ai lavori. Che sia anche un’Olimpiade aperta alla cittadinanza.
Lei ha parlato della necessità di un budget maggiore per progetti ulteriori. Di che genere?
Legati sempre alla scuola o all’organizzazione di eventi collaterali di promozione dello sport. Il fatto di avere le Olimpiadi vuol dire credere nello sport non soltanto dal punto di vista agonistico, ma in quello che lo sport ti dà. Sia dal punto di vista dei valori sia dal punto di vista sociosanitario. L’idea sarebbe di riuscire, magari con ASST o con l’Assessorato alla sanità, a fare dei piani legati alla salute e allo sport. Come quello che già in Veneto e in Emilia c’è, le palestre della salute. Riconoscere lo sport come medicina di prevenzione e, in alcuni casi, curativa.
Che rapporti con la parte veneta dei lavori?
Ottimi direi. Siamo partiti per questo progetto tutti insieme e poi si sono aggiunti Trentino e Bolzano. Con loro ci sentiamo continuamente, anche per quello che riguarda l’agenzia delle opere. Perché i problemi che abbiamo noi, li hanno anche loro. C’è condivisione in quelle che sono le problematiche di tutti. Se, per esempio, il Veneto ha un problema con il CIO per la pista da bob, non è un problema solo loro, ma anche nostro. È un lavoro unitario che va oltre le gare, ma riguarda anche altri progetti legati allo sport. Ci sarà una condivisione che darà più forza. Anche nel mondo del turismo. Come il progetto con il FAI della via Olimpica. Sarà uno di quelli che faremo insieme e che valorizzeremo insieme.
Lei ha detto che i tre pregi di un atleta sono: gestione delle emozioni, determinazione e pazienza. Cosa di questi tre elementi ritrova ora in questa sua attività?
Penso tutte e tre queste caratteristiche siano necessarie. A volte bisogna essere determinati e sapere quali sono gli obiettivi. E bisogna lavorare duramente, assolutamente. Per alcune cose come quelle burocratiche, invece, bisogna avere pazienza, molta pazienza.
Cosa porta della sua esperienza da sportivo in questa attività? Ultimamente sempre più ex sportivi coinvolti nell’organizzazione. Come la mentalità sportiva permette di affrontare queste cose?
Il fatto di aver vissuto cinque edizioni dei Giochi e la possibilità di far vivere questa esperienza agli italiani è una cosa bellissima. Parlo del clima olimpico, non soltanto degli atleti che prendono parte all’evento in sé, e che c’è nella città che ospita i Giochi. Qualcosa di veramente unico. Prima di diventare Assessore ho fatto un percorso di otto anni in Giunta CONI e poi nel Consiglio Nazionale. Per cui, ho una visione completa dello sport in Italia e questo sicuramente mi ha aiutato. Come ex atleti, forse, siamo facilitati nel ricoprire questi ruoli perché non siamo visti come politici veri e propri, ma come tecnici. Quindi, è più facile il dialogo sia con la maggioranza che con l’opposizione. L’essere determinati e lavorare con obiettivi e con sacrificio sono valori che scopri quando fai sport e che ti aiutano in questo lavoro.
Come vivrà questo evento Milano? Sarà in grado di trasmettere l’atmosfera?
Sì, ne sono sicuro. Ho vissuto, anche se marginalmente perché ancora mi allenavo, le Olimpiadi di Torino 2006 e c’era una grandissima atmosfera in città. Ho vissuto lo stesso clima con l’Expo, anche se era completamente diverso come evento perché spalmato su sei mesi ed era diverso. Credo che sarà veramente molto bello. Ci saranno le Olimpiadi e ci sarà il contorno. Credo che si respirerà una bella aria olimpica.
Cosa può voler dire per un atleta gareggiare davanti al proprio pubblico?
Non l’ho mai provato. Ho sempre gareggiato fuori Italia. Il posto più vicino è stato Atene nel 2004. Credo che sia un vantaggio per il fatto di sapere che famiglia, amici e tutti i tifosi italiani la vivono ancora più intensamente. Gareggiando in Italia si può avere questa spinta in più, ma può essere un’arma a doppio taglio perché si può sentire di più la pressione e sbagliare. Mi viene in mente Giorgio Rocca che era il super favorito a Torino ed è saltato, mi sembra, alla terza porta.
Tra gli obiettivi nel dossier si parlava del facilitare l’attività sportiva sul territorio, può bastare ospitare un’Olimpiade o servono anche i risultati?
Di certo i risultati aiutano. Nel 1996, infatti, i numeri di tesserati in Federazione erano aumentati grazie ai nostri risultati. Il fatto di avere degli atleti che vincono aiuta tantissimo a promuovere quello sport. Di fatto, ospitare le Olimpiadi nel 2026 è un’opportunità anche guardando quello che hanno fatto gli Inglesi per Londra 2012. Loro hanno fatto dei progetti per lo sport e, alla fine, anche fatto i risultati. Sono migliorati tantissimo e hanno investito tantissimo. Ovviamente, non basta soltanto fare progetti legati ai valori nelle scuole, ma serve qualcosa di più strutturato a livello di preparazione olimpica. Credo che investire in questi anni possa portare a una cultura diversa per come si vede lo sport. Se potenzieremo questa visione dello sport anche solo nella scuola, non dico si possa arrivare a un modello anglosassone dove lo sport è protagonista, i benefici potranno essere tantissimi. Tra l’altro, aumentare lo sport a scuola non dovrebbe essere difficile visto che adesso è ai minimi. Poi, cresceranno anche i campioni e si arriverà a fare risultati a livello agonistico. In questi anni è già cambiato molto nelle università per come si approcciano agli atleti-studenti. Gli atenei hanno visto il beneficio che può avere uno studente a fare sport e quello che può avere un atleta che fa anche lo studente. Tutto è cambiato anche con le borse di studio. Ci sono tante università che aiutano a programmare gli esami delle varie sessioni. C’è un piccolo miglioramento, ma c’è ancora tanto da fare. Si spera che con le Olimpiadi di possa arrivare a questo risultato.
Che contatti avete con le Federazioni e che feedback vi danno?
Noi abbiamo i contatti con le federazioni regionali. Quest’anno è stato veramente drammatico. Si punta ai ristori, ma quello che si vuole, come tutte le attività nel mondo dell’economia, è lavorare. Vale a dire aprire e far fare sport. La nostra preoccupazione è che i giovani perdano l’abitudine di fare sport. Questo sarà un danno di cui nei prossimi ci accorgeremo. Il fatto che non ci siano più nemmeno quelle due ore di sport a scuola e che non sia stata prevista altra attività fisica se non corsa o bicicletta nei dintorni di casa è stato veramente pesante. Alcune Federazioni, invece, hanno fatto dei protocolli per continuare a far fare sport ai loro tesserati, anche se in condizioni non sempre buone. Penso, per esempio, alla canoa. Gli atleti escono in, possono allenarsi, ma non hanno la doccia calda al rientro. Non possono usare gli spogliatoi. Per cui, vanno avanti solo i più motivati e si rischia di perdere tanti praticanti. Per quel che riguarda le Olimpiadi, invece, parliamo soprattutto con la Federazione Sport Invernali e quella del Ghiaccio per quelli che sono gli interventi da fare nelle venues.
Lei ha raccontato che prima di gareggiare si immaginava la gara e che addirittura ha vissuto una finale olimpica prima ancora di disputarla. Come ci si può immaginare il cammino da qui al 2026?
Ognuno lo farà anche in base al fattore età. Per esempio, Dominik Paris ha già vinto sulla Stelvio, cercherà di preservarsi e di arrivare sulla sua pista preferita. Penso, invece, a quegli atleti che quando andranno a gareggiare su quella pista cercheranno di avere tutte le informazioni in vista delle Olimpiadi. Cinque anni sono tanti per un atleta perché in cinque anni può cambiare tantissimo. Però, gli atleti avranno prima Pechino e, quindi, lavoreranno prima per quello. Dal 2022 cominceranno a pensare più seriamente a quelle del 2026 puntando ad arrivarvi perché credo che l’emozione di gareggiare in casa sia unica. Naturalmente non ci si può risparmiare perché gli anni sono tutti importanti con i Mondiali o le Olimpiadi dell’anno prossimo. Però, credo che se adesso un atleta debba pensare alla fine della carriera agonistica, la pensi da marzo del 2026.
Chi, invece, fa il dirigente, come la vive questa corsa al 2026?
Di sicuro non c’è Pechino! Noi siamo già nel 2026, questo sì ed è un appuntamento che non vedo lontano. Lo vedo come se fosse domani e per cui ogni giorno bisogna andare incontro ai problemi cercando di risolverli. Se come dirigente si comincia a pensare che c’è tanto tempo, quando veramente si arriva a poco dalle Olimpiadi si finisce per pensare che non si finirà mai il lavoro in tempo. Bisogna assolutamente iniziare a fare qualcosa. Noi a Bormio e a Livigno già adesso iniziamo a lavorare facendo cose che serviranno anche per le gare di Coppa del Mondo. Dove possiamo iniziare a fare i lavori, già li facciamo. Quando, poi, arriverà l’agenzia delle infrastrutture si prenderà in carico quello che abbiamo già portato avanti. Dobbiamo fare una bella figura a livello internazionale se in futuro vorremo ospitare ancora grandi eventi. Il fatto che il CIO, e soprattutto la Federazione Internazionale, abbia accettato per la prima volta in assoluto di dividere il maschile e il femminile nello sci alpino, quindi, in due località differenti è perché conosce l’organizzazione che c’è a Bormio e quella che c’è a Cortina. Il fatto di avere alla base un’ottima esperienza ci aiuta. Se facciamo bene, magari, non nel giro di poco tempo, ma più avanti si può sperare di ospitare un’Olimpiade estiva. Difficilmente ancora a Milano, ma per l’Italia può essere un ottimo messaggio.
Un ultimo cenno lo meritano le Paralimpiadi
Quando parlo di Olimpiadi parlo anche di Paralimpiadi. Bisogna investire tanto anche su quelle. Tempo fa ho letto una statistica per cui forse solo il 3 o il 4% dei disabili fa sport. Dobbiamo dar loro la possibilità di farlo e dare un altro obiettivo a quelle persone che hanno avuto un incidente e si sono viste crollare tutto addosso. A Londra ci sono stati notevoli passi avanti anche nel mondo paralimpico. Per quanto riguarda noi, il Veneto e il Comitato organizzatore non c’è differenza tra Olimpiadi e Paralimpiadi.