“OVERTIME“
di Angelo Spagnuolo
Durante una videochiamata organizzata da uno sponsor, Sadio Mané, bomber del Liverpool di Jurgen Klopp, ha fatto la conoscenza di Lee Swan, un ragazzo tifoso dei Reds in prima fila nell’impegno sociale, attivissimo volontario del Florence Institute, un’associazione che aiuta e sfama le persone economicamente e socialmente più in difficoltà di Liverpool, in costante aumento anche a causa della pandemia. Tra una chiacchiera e l’altra ha chiesto a Lee di suggerirgli un’esultanza da sfoggiare in occasione del prossimo gol. Non senza un po’ di imbarazzo, il ragazzo gli ha proposto di lanciare un bacio con il dito rivolto verso il cielo, per ricordare e omaggiare il suo amatissimo nonno da poco deceduto.
Detto, fatto. Dopo aver siglato uno dei sette gol con cui il Liverpool si è sbarazzato del Crystal Palace, Sadio si è esibito nell’esultanza richiesta, prontamente immortalata dalle telecamere. Un piccolo grande regalo che ha commosso Lee. Un gesto che ha confermato tutta l’umanità e la generosità di un campione dentro e fuori dal campo.
Una carriera in crescendo quella di Mané, cresciuto in un piccolo, remoto villaggio del Senegal, Bambali. Duemila abitanti appena, che vivono – o forse sarebbe più corretto dire sopravvivono – grazie alla pesca e alle piantagioni di banane. Un luogo, come tanti altri dispersi in ogni angolo del pianeta, in cui i ragazzi giocano a pallone in campi improvvisati con le maglie a sostituire i pali delle porte, guardano le partite in TV, ammirano e imitano i loro beniamini, sognano di diventare calciatori. Un sogno cullato anche da Sadio e ostacolato dai suoi genitori desiderosi di vederlo impegnato a proseguire con costanza e successo gli studi senza distrazioni di sorta. A loro insaputa, dopo un lunghissimo viaggio in autobus con i soldi del biglietto prestati da un amico, a 15 anni si recò a Dakar per sostenere con una squadra locale il provino che gli avrebbe cambiato la vita, dando inizio a tutto, raccontato così in un’intervista raccolta dal portale goal.com: “quando toccò a me c’era un uomo anziano che mi guardava come se io fossi nel posto sbagliato. Mi chiese se ero là per il provino e io risposi di sì. ‘Con quelle scarpe? Guardale, come puoi pensare di giocare con quelle?’, mi disse. In effetti erano davvero malandate, vecchie e rotte. Poi aggiunse’e quei calzoncini? Non hai dei calzoncini da calcio?’. Gli risposi che ero lì con l’attrezzatura migliore che avevo e che volevo solo giocare e dimostrare le mie qualità. E quando sono andato in campo dovevi vedere la sorpresa nel suo viso. Venne da me e disse ‘Ti ingaggio subito, giocherai nella mia squadra”.
Le doti calcistiche, l’innata umiltà, la voglia di imparare, la serietà in allenamento, il proverbiale perfezionismo, una cura maniacale del proprio corpo con molta attenzione rivolta al mangiar sano, all’andare a letto presto, a non concedersi vizi e stravizi. Tutte qualità che non sfuggirono agli osservatori dei grandi club europei. Il primo approdo alla squadra francese del Metz – scopritrice di altri talenti come Robert Pires e Miralem Pjanic -, poi il Salisburgo in Austria e il grande salto in Premier League, con il Southampton e successivamente il Liverpool a ingaggiarlo. Esterno d’attacco dotato di ottima velocità e capacità di saltare l’uomo, con la maglia dei Reds ha già segnato oltre cento gol, conquistato una Champions da protagonista, vinto un Campionato Inglese dopo un digiuno che lungo l’estuario del Mersey durava da ben trent’anni. Eletto miglior giocatore africano nel 2019, nello stesso anno è risultato quarto nella classifica del Pallone d’Oro dietro Messi, il suo compagno di squadra Van Dijk e Ronaldo, non propriamente gli ultimi arrivati.
Grandi numeri e straordinari successi per un ragazzo che non si è montato la testa, è rimasto semplice, umile, con i piedi ben piantati per terra. Che non si è mai dimenticato da dove è partito, dei sacrifici fatti, delle condizioni in cui vivono tanti Senegalesi in patria e all’estero. Un calciatore che è perfettamente consapevole di far parte di un sistema, di un certo ambiente, ma che non rinuncia a diffidarne un po’, a criticarlo quando occorre. Mané ha candidamente confessato di non aver mai giocato alla Playstation. Ha fatto il giro del web il video in cui, scendendo dal pullman della squadra, si è fermato per dare una mano al magazziniere trasportando delle bottiglie d’acqua. Durante la Supercoppa Europea contro il Chelsea, l’arrabbiatura per essere stato sostituito da Klopp nel corso dei supplementari è subito svanita e si è tramutata in sorriso quando l’attaccante senegalese ha chiamato un raccattapalle e gli ha lanciato la maglia. Un bel siparietto, suggellato dall’abbraccio tra i due.
Virale è diventata anche una foto del cellulare vecchio, sgangherato, con lo schermo incrinato, che teneva in mano nell’immediata vigilia di una partita. Simbolica del suo completo disinteresse per il lusso. Un tratto distintivo, un marchio di fabbrica insieme alla sua generosità. Durante un’intervista a Teledakar, Mané ha descritto così il suo rapporto con i soldi guadagnati: “Perché dovrei volere dieci Ferrari, venti orologi con diamanti e due aerei? Cosa faranno questi oggetti per me e per il mondo? Ho avuto fame, ho lavorato nei campi, sono sopravvissuto a tempi difficili, ho giocato a piedi nudi e non sono andato a scuola. Oggi, con quello che guadagno, posso aiutare le persone: ho fatto costruire scuole e uno stadio. Forniamo poi anche vestiti, scarpe e cibo alle persone in condizioni di estrema povertà, Preferisco che il mio popolo riceva un po’ di ciò che la vita mi ha dato”.
Dichiarazioni puntualmente accompagnate da fatti, gesti di solidarietà: già ai tempi del Southampton, quando non godeva della fama e dello stipendio di oggi, pagò la ristrutturazione della moschea più grande della sua Bambali; in seguito ha finanziato la costruzione di una scuola superiore e, alla vigilia della finale di Champions League 2018 contro il Real Madrid, ha inviato nel villaggio in cui è cresciuto, colorandolo di rosso, un stock di 300 maglie del Liverpool indossate dai bambini senegalesi, i suoi primi tifosi; tuttora assicura un sussidio di circa settanta euro al mese a tutte le persone della sua regione, per contribuire alla loro povera economia familiare.
Semplicità e umiltà al potere. Un grande esempio Mané, che ci conforta in una tesi che sosteniamo da tempo: nonostante gli scandali, i tanti troppi soldi che girano, lo strapotere delle televisioni, il mancato rispetto delle tradizioni e della sua essenza popolare, il calcio non è solo contraddistinto dal marcio. Conserva ancora una sua magia, ha ancora in sé residui anticorpi, tante storie belle da raccontare, protagonisti che non sono sempre bambini viziati, ma spesso uomini dal consistente peso specifico umano e morale. Che possono fare tanto e tanto effettivamente realizzano per il prossimo. Sadio Mané docet.
Questo articolo di Angelo Spagnuolo, rielaborato per Panathlon Planet, è tratto dal blog di Overtime Festival, la Rassegna Nazionale del Racconto, dell’Etica e del Giornalismo Sportivo, che si svolge da dieci anni a Macerata nel mese di ottobre https://overtimefestival.it/blog-overtime/
Panathlon Planet ringrazia Overtime Festival per la collaborazione
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