“TERZO TEMPO“
di Paolo Avezzù
Nell’articolo della settimana scorsa dal titolo “Rugby,7 candidati per una poltrona”, raccontavo della sfida a 7 per la Presidenza della Federazione Rugby che avverrà il 13 marzo prossimo. Peccando di “partigianeria”, faccio il tifo per Marzio Innocenti, amico da tanti anni, Panathleta, Presidente Veneto della FIR ed ho pensato di intervistarlo, facendogli alcune domande. Questo è il risultato, augurando a Marzio di essere il futuro presidente della FIR per rilanciare il rugby in Italia.
1) Chi è Marzio Innocenti?
Marzio Innocenti è un uomo con quattro grandi passioni: Livorno, il Milan, fare il medico, il rugby. Questo sport mi è entrato nel sangue da ragazzino e da allora è senza dubbio una delle cose più importanti della mia vita. Se ora sono candidato alla presidenza federale è per un atto d’amore nei sui confronti, preoccupato che altri quattro anni di continuità con l’attuale gestione possano segnare un punto di non-ritorno verso un declino purtroppo già in fase avanzata.
2) Perché dopo 4 anni ti butti nuovamente nella mischia per la elezione del Presidente FIR?
Per il motivo appena descritto, e perché assieme ad un gruppo di persone di grande qualità abbiamo elaborato un programma serio, sostenibile, concreto ma di netta discontinuità con le politiche miopi adottate negli ultimi mandati. Con poca eleganza, dagli attuali vertici federali mi viene rinfacciato che avendo perso contro Alfredo Gavazzi quattro anni fa, avrei ora addosso l’etichetta del perdente, quindi inopportuno nel riprovarci. Al di là che nel 2016 ho perso per pochi punti percentuali, guadagnandomi la fiducia di poco meno della metà dei club italiani, penso invece che di fronte ad una causa nobile che riguarda la sopravvivenza stessa di tutto il nostro movimento, l’eventuale rischio personale di perdere nuovamente sparisce di fronte alla possibilità di poter contribuire ad invertire questo declino, rimettendo in un binario di crescita il nostro sport.
3) Cosa non funziona nella gestione federale del rugby italiano?
Molte cose, dalla gestione amministrativo-finanziaria, al progetto tecnico complessivo, alla capacità di rendersi attrattivi da un punto di vista commerciale e mediatico. Da quando siamo entrati nel Sei Nazioni, nel 2000, è stata fatta una scelta che ho sempre ritenuto profondamente sbagliata: puntare tutto sull’alto livello, soprattutto sulla locomotiva Nazionale, sperando che sull’abbrivio si attaccassero anche i vagoni del movimento. Questo non è mai accaduto, arrivando fino alla situazione attuale. Il programma che sto proponendo prevede che i club tornino ad essere la bussola di tutte le politiche e di ogni investimento della Federazione: solo tornando a lavorare seriamente sui territori, con un approccio professionale, e moderno, con le giuste competenze e con risorse adeguate, il rugby italiano potrà tornare a correre e sognare.
4) Alla luce della tua esperienza di ex-capitano della nazionale e di dirigente di rugby, cosa non va nella nostra nazionale di rugby?? Abbiamo il record nel Torneo 6 nazioni: in 20 anni solo nel 2007 e nel 2013 abbiamo vinto due match, per 13 volte siamo finiti in coda e negli ultimi 8 anni abbiamo subito tutte sconfitte “conquistando” il cucchiaio di legno. Nel recente torneo internazionale Autumn Nations Cup l’Italia ha chiuso la stagione con 8 sconfitte ed una vittoria con le Figi, peraltro a tavolino. Cosa bisogna fare per cambiare passo?
Occorre rivedere completamente la filiera che porta alla costruzione dei giocatori. Nel medio-lungo termine, tornando ad investire fortemente sullo sviluppo del Sud, da anni colpevolmente abbandonato a se stesso, potenziando i Comitati Regionali e le loro strutture tecniche, da affiancare a quelle dei club per favorirne la crescita. Sul breve, rivedendo completamente il sistema Accademie e Centri di Formazione, che nel rapporto costi-benefici (cioè giocatori italiani di livello internazionale) è inconfutabilmente deficitario.
Il nostro movimento esprime una Nazionale che parlando solo di Sei Nazioni non vince una partita da cinque edizioni consecutive, 25 sconfitte una in fila all’altra. Se è vero che nel board del Torneo siamo soci paritari, altrettanto vero è che le altre cinque federazioni ci vedono come un elemento troppo poco competitivo per garantire la credibilità della competizione e l’appeal commerciale, mediatico e di pubblico necessari. Questo potrebbe tradursi in una nostra fuoriuscita a favore di altre realtà: il posto non è garantito a vita, ma questa ipotesi dobbiamo tutti insieme impegnarci al massimo per scongiurarla, perché oltre che sportivamente, finanziariamente sarebbe un disastro assoluto.
5) Una domanda al peperoncino da tifoso del Rovigo. Nel campionato 2019/2020, per effetto Covid, a marzo la FIR ha deciso di chiudere il campionato senza assegnare il titolo, forse la seconda volta nella storia dopo il periodo della Seconda Guerra mondiale. Peccato che la Rugby Rovigo fosse in testa a 2/3 del campionato con 7 punti di vantaggio sul Calvisano e, a differenza di altri sport, non ha assegnato il titolo a chi era in vantaggio al momento della sospensione/chiusura del campionato (e cioè il Rovigo), ma ha semplicemente deciso che il 2019/2020 era da considerare come “non giocato”. E se in testa ci fosse stato il Calvisano, il Presidente Gavazzi, il cui cuore, sappiamo, batte a Calvisano, si sarebbe presa la stessa decisione?
Questo non posso dirlo, ma visti certi passaggi che più o meno recentemente hanno visto coinvolto il Club fondato dal presidente, capisco la domanda. Credo però che per la cultura sportiva che caratterizza una terra di rugby vera e rara come Rovigo, un titolo vinto senza esserselo giocato sul campo non avrebbe avuto un valore pieno. L’impatto del covid è stato tanto imprevedibile quanto devastante, di fronte a tanti morti ed alla crisi profonda del tessuto economico la scelta della Federazione di sospendere le proprie attività per prima è stata una scelta giusta, e voglio credere che per quanto riguarda il Top 12 non sia stata presa per evitare al Calvisano una sconfitta. Rovigo avrebbe probabilmente vinto quello Scudetto, ma pur nelle difficoltà di questa stagione così anomala, ha ora l’occasione di dimostrarlo sul campo, ed è questo ciò che conta alla fine.
6) Con l’augurio di cuore che tu sia il nuovo Presidente FIR (facendo i debiti scongiuri…), cosa cambierebbe nel rugby italiano? Insomma, quali sono i tuoi programmi?
L’ho spiegato nei punti precedenti. Il motto che caratterizza il mio programma è “Dai Territori l’Azzurro”. Significa che solo tornando ad investire sui territori ed i club il cielo sopra il nostro rugby tornerà sereno, ma significa anche che solo ridando loro linfa vitale i Club potranno tornare a costruire giocatori e giocatrici di livello, valorizzandone il talento senza più affidarlo ad una bolla artificiale com’è il sistema Accademie, ma allenandolo al senso di appartenenza alla propria maglia, al proprio club, prima di spiccare il volo da solo.
7) Da ultimo, qual è il sogno nel cassetto di Marzio Innocenti? Oltre, ovviamente, a diventare Presidente federale?
Tra quattro anni, fare un discorso di commiato da Presidente in cui poter ringraziare il movimento per la fiducia accordatami potendo dimostrare che il mio programma era il programma giusto. Vedere la nostra Nazionale nuovamente competitiva e rispettata da tutti, capace di vincere le sue partite al Sei Nazioni e di qualificarsi alle fasi che contano alla Coppa del Mondo. Celebrare la rinascita del rugby al Sud, con numeri in crescita, impianti riqualificati, i primi ragazzi convocati dai grandi club o dalle selezioni nazionali. Insomma, salutare il rugby italiano con la coscienza a posto, soddisfatto per aver realizzato quanto sto proponendo ora, pronto a rituffarmi al 100% nel mio adorato lavoro di medico. Tutto questo senza dimenticare il Milan vittorioso in Champions League, naturalmente.
Foto di Giorgio Achilli di Rovigooggi