-di Raimondo Meledina–
Da tempi immemorabili, da sempre si potrebbe dire, l’uomo ha praticato, dapprima in maniera istintiva e poi organizzata, le più svariate attività motorie. Queste si sono via via evolute, assumendo nel tempo il carattere di vere e proprie discipline sportive, diffondendosi in maniera capillare insieme agli spostamenti delle genti e specializzandosi anche a seconda dei contesti geografici in cui venivano praticate.
Per quanto riguarda la Sardegna, si può ragionevolmente affermare che, fra tutte, già moltissimi anni fa, il pugilato era una delle più diffuse. Sono molte, ed importanti, infatti, le testimonianze archeologiche che lo confermano e per tutte citiamo i meravigliosi pugilatori appartenenti al gruppo dei Giganti di Mont ‘e Prama (foto a sx), che presidiano con la loro maestosità il Museo “Marongiu” di Cabras, ed i bronzetti dello stesso segno di Santu Luca di Ozieri e di Dorgali, risalenti al IX/VIII° a.C. Nella vita dei nostri progenitori, insomma, come documentato anche nella presentazione dell’archeologa Paola Basoli,” Storia dello sport in Sardegna”, c’era posto anche per molte attività motorie/agonistiche quali, solo per citarne alcune, la caccia (utile anche come forma di sostentamento), la lotta, il tiro con l’arco, il getto del peso e del disco e le corse con i cavalli. Magari circolava meno danaro e sui vari terreni di scontro/confronto si aggiravano meno milionari capricciosi, ma la competizione, istintiva nella razza umana, c’era, eccome, e le manifestazioni sportive erano talmente importanti che in occasione dei vari Giochi, venivano sospese le guerre fra i vari Paesi, che in quel periodo erano peraltro molto frequenti.
Insomma, da sempre l’uomo ha seguito l’istinto di misurarsi con suoi simili e, certamente, fra le varie discipline, il pugilato era una di quelle più praticate. La Sardegna che vista la sua collocazione geografica intratteneva rapporti commerciali e culturali con moltissimi popoli del Mediterraneo, non faceva certo eccezione, ed i suoi abitanti (vedi testimonianze di cui sopra) competevano già da allora anche nel pugilato, dove non sfiguravano di certo, se è vero, com’è vero, che, nei tempi, molti suoi esponenti sono scesi dal ring dopo avere conquistato titoli italiani, continentali e mondiali nelle varie categorie, quasi che il pugilato fosse nel DNA dei sardi.
Molto è stato detto e scritto a riguardo e servirebbero più volumi per raccontare l’epopea di uno sport che in Sardegna ha conosciuto momenti esaltanti, per cui, facendo un bel salto nel tempo, ci limiteremo a raccontare solo degli anni ’50,’60 e ‘70, quando la Sardegna ha espresso il meglio di sé stessa nella noble-art, conquistando messe di titoli ai massimi livelli e brillando non poco anche in campo organizzativo, per presentare poi l’attuale situazione del movimento.
In quegli anni a fare la parte del leone era il Capo di sotto, Cagliari in testa, che, grazie a quel formidabile organizzatore che era Antonino Picciau,che operava in perfetta sintonia col maestro Lello Scano nella mitica palestra “Sardegna” di Via Barone Rossi, preparò a salire sul quadrato autentici fuoriclasse della boxe come Gianni Zuddas, medaglia d’argento dei “gallo” ai Giochi di Londra del 1948 e Guanto d’oro nel 1959, Gian Paolo Melis, welter cagliaritano di grande livello che, emigrato per motivi di lavoro, svolse parte della sua attività in Francia, dopo essersi però preso lo sfizio di battere a casa sua il francese Gilbert Lavoine, futuro campione europeo e Piero Rollo, peso gallo più volte campione d’Europa e battuto nel match per il titolo iridato col brasiliano Eder Jofre, nel 1960, solo per un’improvvida ferita all’arcata sopraccigliare.
Titolo europeo anche per Fortunato Manca, un welter pesante che mandava in visibilio i tifosi per il suo coraggio ed una forza straordinaria che, nel 1964, batté a Roma, nell’incontro valido per il titolo del vecchio continente, il francese Pavilla, mancando poi davvero di poco il titolo mondiale nell’incontro che lo aveva visto incrociare i guantoni con il connazionale Sandro Mazzinghi, ed addirittura titolo mondiale dei minimosca per Franco Udella, una delle massime espressioni isolane del boxe di sempre. Le conferme sulla straordinaria bontà del pugilato sardo vennero poi dal “pesi leggeri” cagliaritano Tonino Puddu, campione europeo nel 1971, dopo aver demolito (KO tecnico) all’Amsicora lo spagnolo Velasquez e, ciliegina sulla torta, medaglia d’oro alle olimpiadi di Tokio nel 1964 e alloro europeo nel ’67 nei professionisti per il peso mosca Fernando Atzori. Potremo fermarci qui, ma sarebbe ingiusto non evidenziare come il movimento boxistico sardo non era circoscritto solo a Cagliari e che, nel Capo di sopra della Sardegna, operavano con lungimiranza e successo, le Accademie di Sassari, Alghero e Porto Torres: in quest’ultima città, il mai dimenticato maestro Baciccia Martellini reclutò prima e portò poi i vari Mario Solinas, Francesco Fiori, Gavino e Mario Iacomini, Bruno Striani, Pino Mura e Mario Altana a livelli di eccellenza assoluta, mentre nelle palestre sassaresi, insieme a tanti altri, brillava di luce propria il peso mosca Gavino Matta, che, a suon di ganci e uppercut, diventò campione italiano ed europeo e di cui sono ancora ricordati i derbies pugilistici valevoli per il titolo, contro il portotorrese Solinas.
Dulcis in fundo il miglior pugile sardo in assoluto e rappresentante principe del settore ad Alghero, il campione europeo dei gallo e dei mosca Salvatore “Tore” Burruni, che, della categoria “pesi mosca” diventerà anche campione mondiale nel 1965 battendo, all’apice del suo lungo e quasi immacolato percorso, Kingpetch. Burruni, vera e propria leggenda della boxe sarda con una carriera straordinaria, è stato compagno e/o apripista di altri importanti boxeur catalani quali i fratelli Spanedda, Silanos Chessa, Casabona, Priami e Spinetti, ricordato, quest’ultimo, per la vittoria sul russo Zasukin, allora praticamente imbattibile. Propulsore e leader maximo della boxe algherese era in quei tempi Franco Mulas, artefice di tutti (o quasi) i successi sul ring dei suoi allievi, che amava la boxe oltre ogni limite e soleva ripetere” la boxe morirà quando l’uomo nascerà senza braccia”.
E così è stato: infatti il pugilato sardo è andato avanti tra alterne vicissitudini, ed ha brillato grazie ad altri fortunati interpreti della noble-art, quali Manuel Cappai, tra i primi 5 pesi mosca del mondo, che, sotto la direzione del padre Fabrizio, ha partecipato con onore ai Giochi Olimpici di Londra 2012, Rio de Janeiro 2016 e vestirà il tricolore anche ai Giochi di Tokyo 2021. Di grande prospettiva il peso mosca di Porto Torres Federico Serra (all’angolo Domenico Mura), come Cappai vincitore di tre titoli italiani Elite, bronzo ai campionati dell’Unione Europea, e diverse partecipazioni ai campionati europei e mondiali e molte le presenze di atleti della scuderia dei Quattro Mori ai campionati italiani élite grazie a Jonathan Rubino, Daniele Oggiano, Sergio Pranteddu, Matteo Ara, Federico Zito e Gianmario Serra due volte campione italiano tra i minimosca ed ai vari Andrea Piredda e Roberto Filippino medagliati ai campionati giovanili italiani Elite seconda serie.
Le note dolenti? Arrivano dai professionisti nei quali, dopo gli addii al ring di Salvatore Erittu, che ha lasciato dopo aver difeso il titolo italiano dei pesi massimi leggeri, e quello, nel 2009, del peso gallo campione italiano ed europeo Simone Maludrottu, tutte le aspettative sono riposte sul super medio di Nuoro Alessandro Goddi. Campione italiano e campione Intercontinental della prestigiosa sigla Wbc, il nuorese viene da un periodo abbastanza impegnativo in cui ha registrato due assalti al titolo europeo non andati a buon fine contro Blandamura e Szeremeta seguiti da un terzo, per il titolo super medi IBF contro l’italo americano Denis Scardina, al pari degli altri non riuscito. Goddi però non demorde mai, si è rimesso sotto ed è riuscito a conquistare il titolo Continental battendo a Montecarlo il francese Andrew Francilette. Tra i professionisti vanno inoltre ricordati Matteo Lecca, supergallo, ed il peso mosca Cristian Zara, due autentici talenti del ring che sicuramente regaleranno molte soddisfazione all’Italia della boxe tutta.
Insomma la storia continua e, come riferisce l’appena riconfermato presidente della Federboxe sarda Gianfranco Pala, “Non siamo in crisi. Nell’ultimo anno, per esempio, la boxe in Sardegna è cresciuta moltissimo, più del 30%. E la Sardegna è la regione che in rapporto al numero di abitanti registra il primato in Italia tra affiliati, amatori e attività giovanile. Nonostante le accuse di chi lo ritiene ancora, sbagliando, uno sport violento, le borse sempre più magre e scoraggianti limiti organizzativi, l’entusiasmo è sempre quello di un tempo. Il numero di coloro che frequentano le palestre – aggiunge il presidente- da alcuni anni ha ripreso costantemente a crescere. Naturalmente non tutti gli “aspiranti” resistono e arrivano alla meta. Alcuni si arrendono prima, per mancanza di mezzi tecnici o per limiti fisici e/o scarsa attitudine al sacrificio che il lavoro in palestra comporta. “Quasi 250 agonisti però, erano 238 nel 2018, sono tanti e questa è una cifra che in molti ci invidiano”.
Consola il fatto che in Sardegna operino 42 palestre affiliate distribuite nell’intera Isola, e, come detto, quasi 250 agonisti che fanno dilettantismo, 7 professionisti in attività, e ben 829 amatori, sportivi che amano la disciplina pugilistica ma non combattono, e che lo scorso anno erano poco più della metà (512). Numeri, questi, che testimoniano l’ottimo stato di salute del movimento”, sottolinea ancora Pala e, “a dispetto degli anni e delle mode, la Sardegna pugilistica, è ancora tra le regioni capofila della boxe in campo nazionale con Società, maestri e tradizione che sono la base e la garanzia per viaggiare verso future affermazioni che consentano un ulteriore rilancio della disciplina non solo nell’Isola.
Il Paese vive un momento non certo dei migliori e coinvolge tutti i settori; il presidente ne è conscio e sottolinea che, oltre ai colpi degli avversari, i pugili, non solo quelli sardi, devono schivare le bordate di un nemico invisibile, per questo più pericoloso: la delusione, l’amarezza che spesso stempera l’entusiasmo quando si fanno i conti con la dura realtà del ring. “Tutti questi giovani, arrivati a un certo punto devono contemperare l’impegno in palestra, che diventa più intenso quando si entra nel giro della nazionale, con la sicurezza economica che soltanto un lavoro può dare. E quando trovano un impiego, per forza di cose sono costretti ad allentare il lavoro in palestra. Senza un lavoro, infatti, con borse ridotte all’osso, molti talenti della boxe sarda pian piano si smarriscono, colti da un senso di tradimento. C’è chi abbandona il ring senza rimpianti, altri, ormai privi di stimoli, spariscono nell’anonimato di uno sport che non sempre, a chi non ha le stimmate del campione, dà quel che promette”. Esiste anche un problema di strutture -questa la conclusione del numero uno della Federboxe sarda- che ci complica ulteriormente l’esistenza e l’operatività e ci impedisce di organizzare riunioni di un certo livello e per questo auspichiamo di poter disporre al più presto di una struttura “fissa”, con un ring sempre disponibile per evitare di pagare 800 euro ogni volta per montarlo e smontarlo.
Nonostante tutto la barca va, ed il movimento cresce, per cui non vi è alcun dubbio che, in tempi neppure molto lontani e col ritorno alla normalità, si riparlerà di boxeur sardi che si imporranno ai vari livelli, riaccendendo la mai sopita passione verso uno sport come pochi con la S maiuscola e che. prima ancora di “fare” pugili, forgia il carattere di donne e uomini che non temono la fatica, l’impegno e la responsabilità, da mettere poi a disposizione delle comunità per una società sempre migliore.