-Dal calcio al giornalismo D’élite–
Calciatore nella Juventus di Boniperti, Sivori e Charles, poi inviato speciale per “Tuttosport” e “La Stampa” e infine poeta e raffinato scrittore lungo un percorso di vita contrassegnato da signorilità, rigore etico e attenzione alle istanze culturali
di Adalberto Scemma
Addio ad Angelo Caroli e a un pezzo di storia mai banale di calcio, di giornalismo e di letteratura. Perché Angelo è stato tutte e tre le cose, scandendo con solare equilibrio i periodi per evitare interferenze. E in tutti e tre questi preziosi scampoli di vita ha assaporato con discrezione, senza mai esibirlo, il gusto del successo.
Calciatore da scudetto nella Juve di Charles e Sivori, di Boniperti e Nicolé, attaccante all’inizio con il debutto-gol a Bologna a soli 18 anni, poi difensore, Angelo diede addio al calcio all’improvviso, a soli 26 anni, per imboccare ben altre strade sul filo di un eclettismo emerso anche nel mondo dello sport; perché prima che calciatore era stato atleta, saltatore in lungo con un titolo italiano giovanile in bacheca e un record personale (7,36) che all’epoca era misura elitaria.
Dal calcio all’Università e dalla facoltà di giurisprudenza all’ISEF per assecondare in qualche modo una sua vitale esigenza sportiva. Come insegnante dicono sia stato esemplare per conoscenza didattica e capacità di coinvolgimento. Chiedere referenze a Darwin Pastorin, che gli è stato allievo prima di ritrovarselo al fianco come giornalista nella successiva ondata emozionale, quella che ha portato Angelo a vivere una stagione dorata a “Tuttosport” nella fase iniziale e poi a “La Stampa”. Perché la scrittura era diventata nel tempo la sua qualità espressiva più naturale, assecondata però con un rigore di carattere etico, un’autodisciplina e un’attenzione all’aspetto tecnico che sarebbero diventate le sue connotazioni più evidenti.
Con Angelo ho girato il mondo com inviato condividendone opinioni e scelte di campo, sempre ispirate a una sorta di anarchismo critico che ci imponeva, scientemente, di “correre da isolati”. Con noi l’ineffabile Vladimiro Caminiti, poeta a oltranza, e poi Darwin Pastorin, Franco Colombo, Bruno Bernardi, Gianni Mura, Beppe Maseri, Gianpaolo Ormezzano, Bruno Perucca, Alberto Caprotti, Tony Damascelli, Giampiero Masieri, Beppe Tassi, sapienti compagni d’avventura lungo una strada che intersecava vicende di sport e di cultura.
Chiusa, anche se mai del tutto, l’esperienza nel giornalismo sportivo, Angelo si è cimentato con successo in ben altri settori, quelli della poesia (“Il mare dei pianeti”) ma soprattutto della letteratura gialla con opere di ampia suggestione (“Rien ne va plus”, per esempio) sempre sostenute da una scrittura raffinata. Negli anni di quiescenza non è mai mancato il suo impegno nella vita del Circolo della Stampa-Sporting di Torino dove in qualità di vice presidente ha organizzato mostre concerti jazz e manifestazione a favore dell’associazione Amici Bambini cardiopatici del Regina Margerita. Vedovo, lascia l’amatissima figlia Clara, che ne ha seguito le orme come giornalista e scrittrice, e un nipote altrettanto amato, Fabio Nicolè, figlio di Bruno di cui Angelo aveva sposato la sorella. L’ultimo saluto per chi l’ha conosciuto “lieve e malinconico, gioioso ma anche rispettoso delle altrui debolezze”, sarà giovedì alle ore 11 nella Parrocchia del Pilonetto in piazza Zara. La figura di Angelo Caroli è stata ampiamente rievocata oggi sui principali quotidiani, sportivi e non, sui siti e sui social. Tra tutti gli scritti rievocativi scelgo quello uscito oggi su “Tuttosport”, la testata del primo amore giornalistico:
Ha fatto e ha raccontato. Ha corso, saltato, segnato gol. Ha imparato il greco antico e ha insegnato educazione fisica. Ha viaggiato. Ha letto. E ha scritto.
Ha vissuto, insomma, Angelo Caroli. Forse perché ha quasi sempre lasciato che fosse la vita a decidere le traiettorie. E queste si sono intersecate in modo curioso, nascondendo dietro ogni snodo una storia.
Come il suo primo gol in Serie A. Lo segna il 29 gennaio del 1956, ha diciotto anni e il giorno dopo ha un compito in classe di greco, che va malino, ma non è il gol a distrarlo o a montargli la testa. «Non ero granché nelle versioni», ammetterà, senza mai confessare il voto di quel compito.
Tutto era iniziato a L’Aquila, dove Caroli era nato. Tutto era iniziato correndo: ottanta metri, salto in alto e in lungo, lancio del peso, staffetta. Il giovane Caroli è capace di vincere in tutte le specialità e, a 16 anni, è campione italiano di terza categoria nel lungo, meritandosi la convocazione nella nazionale giovanile. Il calcio è un divertimento, fatto di partite nella serie Oratoriana, paragonabile all’Eccellenza attuale. Avventure guareschiane in paesini dove finivi per prendere le ombrellate di un parroco furioso per la sconfitta della sua squadra. Poi arriva la Serie C, L’Aquila: Caroli fa lo stopper e, atleticamente, sovrasta tutti. Le cose si fanno un po’ più serie quando la vita innesta un’altra delle sue deviazioni: il centravanti si fa male e nelle ultime otto partite di campionato Caroli viene spostato in attacco, segna 12 gol e gli osservatori della Juventus lo notano. Non solo loro, a dire il vero, ma è il destino che decide, visto che la famiglia di Angelo si trasferisce a Torino. Diciassettenne e tifoso della Juventus, si ritrova a vestirne la maglia e continuare il liceo classico al D’Azeglio, la scuola dei fondatori del club.
Sembra una favola. Anche perché quella è la stagione dei «puppanti», l’orrendo neologismo giornalistico che riassumeva la scommessa della Juventus sulle giovani promesse e sull’allenatore specializzato nel lanciarle, Sandro Puppo. Il progetto non è esattamente un successone, il che rende ancora più storico il gol di Caroli a Bologna, quel 29 gennaio 1956: la Juventus non vince in trasferta da 18 mesi, il Bologna dominala partita, ma con un contropiede il ragazzino debuttante realizza il gol del successo bianconero. «Una sensazione pazzesca, un’ubriacatura totale, il cervello chiuso per impraticabilità di campo», racconterà lui.
Sul treno di ritorno Boniperti vuole che Caroli offra lo champagne alla squadra, ma per una bottiglia ci vogliono due mesi del suo rimborso (non aveva nemmeno lo stipendio). Così i compagni gli abbuonano il brindisi, il professore non gli risparmia la versione del giorno dopo. E mentre Caroli scorre le fitte righe del Rocci, i tifosi della Juventus leggono le cronache del suo gol, una delle quali è firmata, su Stampa Sera, da Vittorio Pozzo, il leggendario ct bicampione del mondo, diventato poi commentatore. «…Tutto frutto del lavoro dei due novellini inseriti nella squadra bianconera per darle l’apporto di un po’ di sangue giovane, questa rete che doveva decidere delle sorti della giornata. Bartolini aveva iniziato l’azione con prontezza di percezione, Caroli l’aveva completata con la punta di velocità, caratteristica dei giovani. Una mossa riuscita».
Sembra l’inizio di un romanzo, ma la vita di Caroli è una raccolta di racconti e il suo primo gol in Serie A rimane l’ultimo. Dopo due anni a crescere nella Juventus, senza più lampi, va in in prestito a Catania in B, poi a Lucca, poi a Pordenone in C, una specie di succursale della Juventus. C’era il bravissimo Rabitti, impareggiabile maestro di calcio, e c’era un altro grande ex bianconero, Varglien II, allenatore che ha l’intuizione di spostare Caroli sulla fascia: terzino, per sfruttare le qualità atletiche. E così Caroli torna a Torino per contribuire allo scudetto 1960-61.
Non è più la Juventus sperimentale dei giovani, ma il dream team costruito da Umberto Agnelli con Omar Sivori e John Charles. Caroli entra nella storia di quella stagione con un assist proprio a Sivori per decidere un derby. Può essere la svolta, perché con quella partita si è conquistato un posto da titolare. Ma anche quel racconto finisce. Come ricorda lui stesso: «Ritiro a Sestriere, una ragazza mi chiede di uscire. Ci vado la sera, con questa bella genovese, ma senza farci nulla. Il problema è che ci vado in giacchetta, risultato: faringite. La domenica dopo al mio posto in campo c’è Mazzia e io me ne torno nell’ombra».
Finisce al Lecco. Poi si sposa e, questa volta, inizia lui un altro racconto della sua raccolta. A 27 anni sente di non essere un fenomeno e sulle spalle gli pesa la leggerezza del futile mondo del calcio. Si iscrive all’Isef, lasciando la facoltà di Legge che aveva frequentato dopo la maturità classica, l’idea è diventare insegnante di educazione fisica: la stabilità del posto fisso, le fondamenta per costruire la sua famiglia. Ma, come detto, questo non è un romanzo e cambia ancora la scena.
Redazione di Tuttosport, all’epoca in via Villar: Gianni Romeo parla di Caroli al direttore Giglio Panza. Ha letto qualcosa scritto da lui e lo propone come collaboratore. In due mesi viene assunto e, così, Caroli inizia a raccontare di calcio dopo averlo giocato. Ha talento e competenza, una miscela micidiale: capisce di calcio e lo sa spiegare. Segue la Juventus, la sua Juventus, quella per la quale non si vergogna di aver pianto; segue il Mondiale del ‘74; manca quello dell’82 per un problema di salute, ma racconta in modo indelebile tantissimi campioni. Fine? No, perché la scrittura ha catturato Caroli e lo porta sulla strada della poesia (due raccolte pubblicate) e dei romanzi (una lunga serie di successo).