–THE RYDER CUP, L’ELITE DEL GOLF
–di Massimo Rosa
Dovete sapere che la vela sta all’America’s Cup come il golf sta alla The Ryder Cup Matches, entrambe rappresentano gli scontri sportivi tra mondi diversi, capace di attrarre il mondo intero.
La Ryder Cup è la mitica coppa che si contendono USA ed Europa, i cui giocatori rappresentano l’élite mondiale di questo sport
La sua denominazione ufficiale è “The Ryder Cup Matches” e nasce nel 1927, grazie al magnate inglese, mercante di granaglie e mangimi, Samuel Ryder, innamoratosi del golf dopo avere assistito l’anno precedente a Wentworth, nelle immediate vicinanze di Londra, ad una gara tra i migliori giocatori statunitensi ed inglesi.
Questo però è l’alone della romantica leggenda vestita addosso alla coppa dagli appassionati del golf.
La realtà, infatti, è un più prosaicamente l’utilizzo o se preferite lo sfruttamento di questo evento da parte di Mister Ryder, attraverso la pubblicità che ne avrebbe ricavato. Infatti la sfida tra britannici e statunitensi, altro non era che la trasposizione metaforica moderna della voglia di rivincita dei cittadini di Sua Maestà britannica nei confronti dello sgarbo ricevuto con la nascita degli Stati Uniti d’America, loro vecchia colonia, quel 4 luglio 1776.
Dunque un contenuto forte e stuzzicante, dovuto soprattutto all’alta considerazione british che avevano di loro stessi, ritenendosi degli imbattibili in qualsiasi campo dello sport, tanto che le loro continue sfide erano contro il Resto del Mondo, perché la Gran Bretagna di quegli anni era la padrona del mondo grazie allo sterminato impero coloniale. Era il 1927.
I media lo capirono al volo dando ampio risalto alla nascita di questo challenge, tra questi il Daily Telegraph, il Times e, al di là dell’Atlantico, anche il New York Times.
Così il nostro munifico Samuel Ryder ne ricavò un’ampia pubblicità, diventando il primo sponsor della storia del golf.
Il torneo dalla sua nascita sino al 1973 rimase un fatto privato tra inglesi ed USA, poi a partire dal 1973 nella formazione isolana fu incorporata l’Eire, segnale questo che era tempo di cambiare qualcosa, anche perché gli inglesi avevano perso quell’aura che li rendeva particolari al tempo dell’immenso Impero.
E’ il 1979 quando alla formazione britannica furono inseriti i giocatori europei del continente. L’idea di questa miglioria fu del grande golfista americano Jack Nicklaus che, visto l’interesse scemare a causa dell’ormai squilibrio esistente tra gli statunitensi e gli avversari, 18 vittorie Usa contro le 3 degli inglesi ed un pareggio, propose lo storico cambiamento.
Da quel giorno non fu più The Great Britain a contendere la Ryder Cup ai potenti cugini d’Oltreoceano, ma The Team Europe. E così fu riconquistato l’appeal perduto.
Ai giorni nostri
Bisogna andare al 1985 perché il team europeo conquisti il primo trofeo, collezionandone sino ai nostri giorni altri otto. Quindi il conteggio di questi trent’anni arride al Vecchio Continente per nove vittorie a sette. In questo arco di tempo c’è da registrare anche il salomonico pareggio 14 a 14 del 1989.
L’evento è biennale ed è ospitato alternativamente negli Stati Uniti ed in Europa, quasi sempre però in Gran Bretagna, fatto salvo nel 1977, in Spagna a Valderramma, per tributare onore al grande golfista iberico Severiano Ballestreros. Fair Play of course.
La Ryder Cup si svolge nell’arco di tre giorni ed è giocata con la formula del Match Play, divisa in 28 sfide (si gioca a coppie e singolarmente), ognuna delle quali vale un punto. Si vince con 14 punti e mezzo.
Che fosse un business Samuel Ryder lo aveva ben capito con largo anticipo, tant’è che la sua Coppa ai nostri giorni vale economicamente 100 milioni di dollari. Lo hanno ben compreso anche le aziende che, pur in un momento di recessione mondiale, investono una quantità enorme di denaro. Per dare il senso dell’importanza, il costo dell’abbonamento è di 4.000 dollari.
I 26 professionisti che vi partecipano non prendono il becco di un quattrino, o meglio: incassano 200 mila dollari, di questi 100 mila sono devoluti ad un ente benefico ed altri 100 all’università del golf frequentata. Dunque è solo l’orgoglio di dire:”Ci sono anch’io”.
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