–Ricordo di Sergio Zavoli-
Di Gino Goti
Appassionato di ciclismo e di televisione conservo nel mio archivio numerosi spezzoni del “Processo alla Tappa” del giro d’Italia del 1962 ideato e condotto da TSergio Zavoli che è considerato forse il primo talk show televisivo. Una trasmissione in cui oltre ai grandi nomi, Bartali era un ospite fisso, Zavoli ha portato al microfono e in video non solo i campioni ma anche i gregari, gli uomini di fatica del ciclismo. Lui seguiva in moto alcune fasi della tappa, intervistava in diretta i corridori (oggi è assolutamente vietato) e poi li ospitava nel suo salottino del “Processo”.
Memorabile la sua intervista a Lucillo Lievore un gregario, un corridore che io poi incontrai all’arrivo di una tappa del Giro d’Italia dei Dilettanti a Breganze nel vicentino. Lievore, e non solo lui, dopo quella apparizione divenne popolarissimo perché la trasmissione ottenne subito il consenso e il seguito del pubblico, degli appassionati di ciclismo. Lievore divenne subito un personaggio, il rappresentante, l’immagine del gregario raccontando la fatica, le borracce da portare al capitano, le soddisfazioni di gioire per la vittoria di un compagno di squadra, le astuzie. Zavoli, si legge nella prefazione di un suo libro, intervistava per andare a fondo, per interrogare l’idolo, l’operaio, l’astronauta, il chirurgo famoso per scoprire l’”uomo”.
A Breganze invitai in trasmissione Lievore e il telecronista Fabretti e Gigi Sgarbozza gli fecero raccontare quel “processo”: lui lo sapeva a memoria, l’avrà raccontato migliaia di volte ma come fosse successo il giorno prima.
Zavoli tirava fuori, nelle sue interviste acute anche se spontanee, l’anima dei personaggi con domande incalzanti e appropriate non seguendo una scaletta o degli appunti o addirittura domande scritte come capitava con altri suoi pur illustri colleghi.
Era questa la caratteristica di Sergio, lui amava il “tu” amichevole – per questo lo cito solo con il nome proprio -, era questa la qualità del giornalista puro, di razza che sa maneggiare il microfono mettendolo a suo favore per la domanda e porgendolo al suo ospite per la risposta. Qualità non comune e sempre più rara nel mondo di oggi in cui tutti sono giornalisti, fotografi, operatori, registi.
Oggi, salvo le eccezioni di giornalisti bravi, è abitudine fare una domanda, ma non sempre, mettere il microfono a favore dell’intervistato e “raccogliere” una dichiarazione senza “affondare” nella notizia, nel personaggio con altre domanda.
Aveva iniziato nel 1947-48 a girare il mondo per raccontare il mondo, gli uomini, i fatti e poi il commento sportivo delle partite di calcio nella sua Rimini, città che lo aveva adottato giovanissimo, era nato a Ravenna. Rimi lo unisce al grande amico Federico Fellini.
Nel 1950 divenne famoso con Cesare Zavattini per il documentario radiofonico “Vi parlo della mia strada”. E dalla radio acquisisce lo stile essenziale delle parole, del suo linguaggio delle sue pause sonore. Il documentario gli valse il premio “Microfono d’argento” cui seguirono il “Premio Marconi”, quello della “Regia televisiva di Salsomaggiore” e il “premio della critica” al Festival di Cannes.
Nel 1962 ha inizio la sua esperienza in televisione con i suoi famosi “Incontri”. Con chi? Con Federico Fellini, con Albert Schweitzer, Von Braun, Steinberg, U-Thant. E poi il documentario su Erwin Rommel, i suoi incontri con politici, le sue inchieste di attualità per TV-7: reportage da tutto il mondo, le “domande difficili” a Barnard, Cooley, Bormann, Armstrong, Abbé Pierre. Monsignor Capovilla,
“Non ho tentato – dice nella sua prefazione al libro “Viaggio interno all’uomo del 1969” – di verificare l’”arte della congettura”, ma il mestiere di chiedere e di capire, che poi è il mestiere del giornalista. Ho raccolto progetti di umanità estorti a uomini diversi nei punti di partenza, ma compromessi in quell’unico progetto che è l’uomo di oggi e di sempre”. Prezioso volume che scorre veloce e da centellinare e annotare per le preziosità che contiene e che ha un posto privilegiato nella mia biblioteca e sul mio comodino.
Ho incontrato una sola volta Sergio a Perugia, ospite della Sala dei Notari per la presentazione di un libro, ma in effetti, per una lectio magistralis di giornalismo che incantò il pubblico che affollava la prestigiosa residenza comunale. Al Prix Italia, organizzato dalla RAI, vinse per due volte il premio per la sezione documentari.
Oltre che giornalista, regista, documentarista, autore radiofonico e televisivo Zavoli incantava e conquistava anche con la sua voce, studiata nei toni, nelle pause come un grande attore.
Ogni frase erano versi di poesia sia che parlasse di storia, di costume, di politica, di attualità, di arte, di sport.
Con Sergio Zavoli scompare un maestro di giornalismo, di televisione, di radio, un maestro di poesia. Indro Montanelli lo definì “principe del giornalismo televisivo”. E non ho mai avuto la fortuna di lavorare con lui, avrei appreso molto di televisione, di radio, di giornalismo, di vita.
E’ stato un illuminato presidente della RAI e presidente della Commissione di Vigilanza e viveva a Monte Porzio Catone a un passo da Roma.
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