-di Francesco Schillirò–
Nello scrivere un articolo su quello che a te fa piacere,o che ti viene richiesto dalla redazione ,ti chiedi:sarà dai lettori gradito e apprezzato?. Ogni cosa che scrivi è come una tua creatura che devi plasmare e far crescere nel migliore dei modi, cercando che susciti interesse e non indifferenza. “Una realtà non ci fu data e non c’è,ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere:e non sarà mai una per tutti,una per sempre,ma di continuo e infinitamente mutabile (Pirandello)”
Il mio articolo sulla Targa Florio,fortunatamente ,ha stimolato tanti pareri positivi e tra questi,mi hanno fatto più piacere quelli dove veniva affermato che si percepiva nella scrittura la mia sicilianità.
Non ho mai rinnegato la mia origine anche se da oltre 45 anni vivo nella meravigliosa città di Partenope.
La mia maturità mi spinge sempre più a ricordare le bellezze della terra che mi ha dato i natali, e di tutto quello che è stata nei secoli,arricchita dalle varie dominazioni .
A differenza di altri luoghi , da noi ognuno ha lasciato qualcosa che oggi costituisce l’ enorme patrimonio.
Wolfgang Goethe nel suo libro “Viaggio in Italia” edito nel 1817, affermava:” L’Italia senza la Sicilia,non lascia nello spirito immagine alcuna.E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto”
Ritornando all’automobilismo agonistico,mi è stato chiesto:perché non parli del giro di Sicilia?.
Volutamente non ho mischiato la targa Florio ed il giro ,anche se,in alcune edizioni (dal 1912 al 1914)e (dal 1948 al 1950)sono state la stessa cosa con premio per il vincitore della famosa “targa”.
A mio avviso ,sono state due diverse tipologie di corsa forse in quel periodo fuse per esigenze attrattive e sociali ma da me paragonabili ,se divaghiamo sull’atletica leggera, ai 10.000 metri ed alla maratona.
Nel giro di Sicilia ,c’era un più ampio “respiro” rispetto alla tradizionale Targa Florio, perché venivano attraversate più provincie e quindi tutti potevano apprezzare le evoluzioni di quei “curriduri “,ma non si “monitorava “ la corsa come su un circuito.
Il proprio idolo si vedeva passare per un attimo ,per poi allontanarsi su strade alcune volte polverose.
Ma Vincenzo Florio,siciliano doc ,che in uno racchiudeva l’uomo di “ scoglio e di mare”,restando sempre sul pezzo, accortosi della diminuzione di interesse per la sua “Targa Florio” decise per essere attrattivo ,di stimolare gli affievoliti interessi delle case costruttrici e dei piloti, con un nuovo percorso che coinvolgesse tutta la Sicilia,facendone fare il periplo.
Il percorso si svolse nel primo triennio in senso orario e nel secondo in senso antiorario mantenendo Palermo come punto “O”.
È stata una idea geniale perché tutti i “Siculi” hanno potuto apprezzare questi bolidi( per gli indici prestazionali dell’epoca)ed anche perché si è stimolato il coinvolgimento di sindaci e volontari ,con miglioramento delle spesso malandate strade.
Al primo Giro di Sicilia nel 1912 ,che corrisponde alla VII Targa Florio,partecipò su Mercedes 60 Hp anche Vincenzo Florio ,che ,per una uscita di strada nei pressi di Melilli,si dovette ritirare fortunatamente senza conseguenze fisiche per lui e i suoi amici compagni di ventura.
Forse Florio ,che nulla lasciava al caso, nel primo triennio della corsa,aveva messo Messina come seconda Città attraversata,per lenire le sofferenze di una popolazione ancora martoriata dal tremendo terremoto e maremoto del 1908 che aveva quasi completamente distrutto il centro abitato.
Vincitori della gara nella prima edizione,furono i piloti Snipe-Pedrini che su SCAT avevano completato il tragitto di 1050 Km in 24h37’09”.
Si racconta un simpatico aneddoto su Snipe: “dominando la corsa ,a Trapani si fermò per un riposino che divenne sonno profondo e Pedrini riuscì a svegliarlo solo con un secchio di acqua gelida sul volto”.
Ripresosi,concluse ,inzuppato la corsa con un vantaggio sul secondo classificato di 1h30’18” (un’enormità).
Nel triennio (1948-50)il percorso è stato portato a 1080 Km.
Finalmente il Giro di Sicilia raggiunse il massimo della popolarità,con l’iscrizione nel suo Albo d’Oro di piloti ai massimi livelli mondiali.
Ritengo sia doveroso ricordare gli italiani Biondetti,Marzotto,Villoresi ,Taruffi.
Piero Taruffi “el zorro plateado” definizione attribuitagli dai giornalisti messicani alla Carrera Panamericana del 51 ,con le sue 3vittorie e quattro secondi posti,possiamo considerarlo il re del “Giro”.
Tutti in Sicilia lo osannavano come se fosse un pilota indigeno e nel 1956 soffrirono con Lui per quel secondo posto dietro l’inglese Collins su Ferrari 3500 per soli 53”.
Anche nel 1957,ultimo vero Giro,il belga Olivier Gendebien su Ferrari 250 GT 3000
tolse al nostro Taruffi la gioia di vincere l’ultimo vero Gran Premio di Sicilia.
Riporto e ringrazio l’ amico panathleta di Agrigento Giugiù Amato per quanto mi ha scritto” le auto dopo aver attraversato la Valle dei templi,si fermavano per il rifornimento alla Shell di “chianu Sanfilippu“. Come Lui ,fortunatamente ,molti altri hanno ricordi.
Personalmente ricordo il passaggio dei bolidi nelle ultime edizioni,a Messina e per giorni la mia Ferrari a pedali,faceva del corridoio di casa la sua pista con molti sterzo e controsterzo.
Ritornando ,dopo questa divagazione al “vecchio” Giro di Sicilia,tutto era a misura d’uomo e non della più spietata tecnologia che sicuramente ha migliorato le capacità prestazionali dei mezzi,ma ha tolto quel “quid “che rendeva il pilota magico.
Infatti qualcuno che non condivido scrisse:” Il contatto dei siciliani con i piloti avventurosi,nobili,leggendari personaggi,diede un’autentica scossa a quel popolo,svegliando le loro coscienze sopite da secoli di torpore”.
Vittorio Nisticò presidente della cooperativa di giornalisti che nel 1979 aveva rilevato il giornale l’Ora di Palermo ,diceva; “i Siciliani si dividono in due grandi categorie .
I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto.
Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio.
Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va”.
“Sono quelli che fanno della loro sicilitudine una specie di patrimonio personale e lo utilizzano per vivere una vita diversa.In Sicilia ci tornano sta nel loro cuore ,ma comunque scelgono di proiettarsi su un altro orizzonte”( tratto dal libro di Marcello Sorgi “ La testa ci fa dire.Dialogo con Andrea Camilleri” edito da Sellerio Palermo).
Andrea Camilleri sulla sicilianità disse :” È molto semplicemente il prodotto di 13 o 14 dominazioni diverse che si sono susseguite in Sicilia.
È il senso dell’Isola. I siciliani di queste dominazioni hanno preso il meglio ed il peggio. Quindi si sono creati un carattere prismatico…”.
Ad ognuno le proprie osservazioni…