–di Andrea Ceccotti-
Si proprio lui Michael Jeffrey Jordan, conosciuto più con le sue iniziali MJ, o semplicemente come Michael Jordan.
Soprannominato Air Jordan e His Airness (“Sua leggerezza”) per le sue qualità atletiche e tecniche. Fu eletto nel 1999 “il più grande atleta nord-americano del XX secolo” dal canale sportivo ESPN. Nel suo palmares sportivo 6 titoli NBA, 1 titolo NCAA, due Ori Olimpici (Los Angeles 1984 e Barcellona 1992).
Fu introdotto due volte nella Naismith Memorial Baskettball Hall of Fame nel 2009 per la sua carriera individuale e nel 2010 come membro del leggendario Dream Team. Diventò anche membro della Fiba Hall of Fame nel 2015. Il 22 novembre 2016 fu insignito dal Presidente Barack Obama della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile statunitense.
La fama acquisita sul campo lo ha reso un’icona dello sport, fino a spingere la Nike a dedicargli nel 1984 una linea di scarpe da pallacanestro chiamata appunto Air Jordan. Il primo anno il suo agente stipulò un contratto che prevedeva per la prima stagione il raggiungimento di un fatturato di vendita per il controvalore di 3 milioni di $USA. La stagione si concluse con la notizia che la linea di scarpe Air Jordan, aveva portato alla Nike un fatturato di 123 milioni di $USA!
Proprio per promuovere il lancio delle Air Jordan in Europa, Michael sbarcò nella magica estate del 1985 sui parquet del basket italiano, per giocare tre match dimostrativi, a Trieste, Roma e Caserta. E disputò quindi una gara leggendaria al palasport di Chiarbola di Trieste il 25 agosto, tra la squadra locale della Stefanel e la Juve Caserta. Avrebbe dovuto giocare un tempo da una parte e uno dall’altra ma alla fine scelse di rimanere sempre in maglia arancionera di Trieste, con tanto di cambio di spogliatoio surreale al momento dell’arrivo al Palazzo delle Sport.
Per Jordan quella sera non c’era spazio per il divertimento. Decise d’imperio di giocare tutti i 40’ minuti con la Stefanel. Leggenda vuole che alle origini della decisione ci fosse una certa curiosità nella sfida con un brasiliano che la metteva dentro con una certa facilità ma che in NBA non si era fatto vedere: Oscar Schmidt. Jordan ne mise 30, Tanjevic, all’epoca ancora coach della Juve Caserta, addirittura si schierò a zona per frenare la furia di His Airness. Che esplose con violenza quando stampò una schiacciata partendo col terzo tempo da metà campo e tirando giù letteralmente il ferro. Con i vetri a recidere un tendine al povero “Tato” Lopez e ferire in maniera meno grave Pietro Generali.
Quella data, quella partita, quell’incredibile occasione cestistica tutta italiana in quel di Trieste, rimarranno per sempre nella storia come l’unico scenario in cui Michael Jordan fu capace di mandare in frantumi un tabellone.
Dimenticate Shaq o Neal o Lebron James e i supporti dei canestri che si piegano: MJ spaccò letteralmente il vetro provocando una pioggia di schegge che sorprese tutti gli avversari intorno a lui …
Interruzione, canestro sostituito, si riprese a giocare…Le migliaia di spettatori presenti quella sera alla fine tornarono a casa con la certezza di aver visto un alieno. Avevano ragione…
Negli anni poi Michael vinse tutto, con i Chicago Bulls e con il Dream Team, rivelandosi il miglior giocatore di tutti i tempi, forse addirittura lo sportivo più forte di tutti i tempi.
Solo una cosa non gli riuscì più: spaccare il canestro…Quella del vetro polverizzato al Palachiarbola di Trieste rimarrà per sempre un’immagine unica, sfocata. Non sarà “TheShot”, non sarà l’incredibile scivolamento su Bryan Russel seguito dalla sospensione infinita del sesto anello, ma sarò sempre una piccola grande fetta del passato di un mito, una briciola bellissima e – possiamo dirlo con un pizzico d’orgoglio- tutta italiana e triestina.
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