-di Enrico Brigi–
L’emergenza per il coronavirus ha obbligato tutti a fermarsi. Lo sport non è stato da meno e ben presto è stato costretto ad abbassare la saracinesca. Uno degli ultimi a farlo è stato il mondo del calcio. Troppi interessi e troppi soldi in ballo – verrebbe da dire – per pensare di chiudere “a cuor leggero”. Meglio tentarle tutte prima di alzare bandiera bianca.
In questo momento di crisi, dove il danno economico rischia di assumere proporzioni impensabili, è partita inesorabile la macchina della solidarietà, tra raccolta fondi, donazioni e destinazione di una parte dei propri compensi, tutte iniziative di assoluto valore in grado di dare pronto supporto alla collettività, alle strutture sanitarie e a chi ne ha più bisogno, in particolare verso coloro che aggirarsi nubi minacciose sul proprio posto del lavoro.
Il mondo “paradisiaco” dei calciatori ha stentato non poco ad attivarsi in questo senso. Ancora oggi Lega e Aic continuano il dialogo senza peraltro trovare un vero punto d’incontro. La Lega chiede la sospensione per quattro mesi degli stipendi mentre il sindacato calciatori, capitanato dal veronese Damiano Tommasi, vuole almeno la corresponsione del mese di marzo, che, dovrebbe andare in pagamento il prossimo 20 aprile. Mentre qualcuno “litiga”, per nostra fortuna ci sono stati alcuni club che si sono mossi di propria iniziativa. La prima società, alla quale va dato giusto merito, è stata la Juventus, che senza attendere particolari decisioni, ha scelto, d’accordo con staff e giocatori, di sospendere il pagamento degli emolumenti da marzo a giugno. Un importo di circa 90 milioni di euro che consentirà, soprattutto, di sostenere il pagamento di tutti gli altri dipendenti, il cui posto di lavoro in questa crisi, iniziava seriamente a vacillare.
Peccato, tuttavia, vedere questo assurdo teatrino tentennante. Il mondo del calcio, ancora una volta, ha confermato di vivere per certi versi una realtà quasi virtuale. Molti affermano di mettere davanti a tutto la salute ma i dubbi nascono e restano. Un’altra occasione persa per dimostrare il contrario.
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