Cronaca di un viaggio a bordo della Lambretta Macchia Nera del 1969
di Massimo Rosa
Tra i molti passi alpini quello che da sempre mi affascina di più è lo Stelvio.
Sin da quando bambino, mio padre mi ci portò. Ricordo come fosse oggi la strada bianca ed i numerosi tornanti che mi conquistarono, segnandomi indelebilmente nella memoria quella nitida fotografia. Da allora lo Stelvio con in suoi 48 tornanti ed i suoi 2.760 metri ha un posto speciale nel mio cuore, anche perché su quella salita fecero la storia del ciclismo campioni come Bartali e Coppi.
Ma veniamo ai giorni nostri.
Dopo l’esperienza di tre anni or sono con il Lambretta Club Triveneto, quando in due giorni scollinammo attraverso sette passi dolomitici: Costalunga, Sella e Gardena il primo giorno, con arrivo a Corvara; Campolongo, Pordoi, Fedaia e Valles, il secondo, con arrivo a Verona.
La voglia di misurare ancora una volta me stesso e la mia Lambretta 125 Macchia Nera ha trovato due amici che hanno sposato questo mio desiderio. Così è nata l’idea di andare sullo Stelvio.
I miei compagni di viaggio, collaudati motociclisti: due amici della mia infanzia, l’uno, Francesco Tirozzi, medico, con la sua Guzzi California, l’altro, luigi De paoli, avvocato, con la sua Piaggio 300, che con un perfetto gioco di squadra, viste le differenze dei nostri mezzi, hanno permesso la riuscita di questo viaggio.
La partenza è alle 8.45 di lunedì 29 giugno da piazza Vittorio Veneto.
La tappa di giornata prevede di arrivare a Glorenza via Stelvio, sconfinando in Svizzera attraverso la valle di Mustair, per un totale di 313 chilometri. Il secondo, quello del ritorno, prevede Glorenza – Verona.
La tabella di marcia indica che alle 17 bisogna essere sul Passo Stelvio ed alle 19 a Glorenza per il meritato riposo.
Dunque si parte scegliendo la statale che porta a Bolzano.
La prima sosta avviene poco dopo dieci minuti alla Stretta di Ceraino, la magnifica gola attraversata dal pacifico Adige e dominata da forti austriaci, dove è d’obbligo bere un caffè in attesa della maratona delle prossime ore. Una sorta di Grand Canyon de noialtri.
La strada scelta è la statale del Brennero, che conosciamo a memoria, ricca di piacevoli saliscendi e di curve, esaltanti le traiettorie dei nostri mezzi a due ruote.
Alle porte di Trento entriamo nella tangenziale a scorrimento veloce, anche troppo, ritrovandoci ben presto bloccati in galleria, causa un incidente poco oltre l’uscita. Un’esperienza non piacevole perché ti fa sentire nudo ed impotente con il tuo mezzo a due ruote. Comunque nella città del Castello del Buonconsiglio siamo in anticipo di 45 minuti. Minuti persi successivamente a Bolzano, perché dapprima prendiamo altra strada a scorrimento veloce verso Merano, abbandonata dopo pochi chilometri per cercare il vecchio tragitto, più tranquillo, bello e sicuro.
La segnaletica è quella che è, cioè ingannevole, e ci fa perdere l’orientamento, prendendo così una direzione sbagliata. Accortici dell’errore dopo una ventina di minuti riconquistiamo quella giusta. Intanto l’errore ci ha regalato una trentina di chilometri in più.
La sosta prevista non può essere che alla Forst, appena fuori dell’abitato meranese. Il ritardo è di un’ora. Poiché nessuno ci corre dietro, sotto gli alberi maestosi del ristorante ci spazzoliamo stinchi e wurstel, innaffiati da una pinta di birra a testa.
Nella tabella di marcia stilata si è tenuto conto ovviamente della velocità media della Macchia Nera ed i rifornimenti di benzina, tenendo comunque larghi i tempi. Così tutto avviene in perfetta sintonia. La strada della Val Venosta è magnifica, circondata com’è dalla bellezza dell’ordinata teutonica campagna, impreziosita dalle montagne che le fanno da cornice, un quadro di natura strepitoso, splendido e riposante al contempo, anche se noi siamo impegnati a cavalcare i nostri mezzi.
I deliziosi paesi che attraversiamo sono tutti un richiamo a restare. Ma non bisogna abboccare al canto delle sirene, poiché la nostra Itaca è i 2.760 metri del Passo più alto d’Italia.
Così si arriva a Prato dello Stelvio, dove abbiamo fatto l’ultimo rifornimento prima di affrontare l’impegnativa salita che ci attende con suoi 48 storici tornanti. Poco dopo, Trafoi, il minuscolo centro dei natali del grande Gustav Thöni, sembra dirci: “Da qui si sale seriamente”. E così è.
La Lambretta e le sue due compagne di viaggio, la California e lo Scouterone, sono un solo unicum, quasi che le giovin due ruote si calassero nella parte dei vecchi gregari di Bartali e Coppi per prendere per mano il campione da lanciare nella fuga verso la vittoria del mitico Passo Stelvio. Oggi è il turno della Macchia Nera.
Sono molte le moto che salgono e scendono, meno le auto, molte delle quali stranamente sono spyder; molti anche i grimpeur sulle biciclette: che fenomeni.
I tornanti si susseguono e l’attenzione è massima. Nelle curve a destra sono spesso obbligato a mettere giù il piede, tanto è ridotta la velocità. Il contrario di quelle a sinistra che mi permettono di essere più veloce e gagliardo. Affrontare salita e tornanti a questo ritmo è una libidine, ti fa sentire re del mondo, e la Lambretta la mia regina.
Ci fermiamo al quarantasettesimo tornante per ammirare il panorama mozzafiato dell’Ortles ed i ghirigori dei tornanti appena affrontati. Lo Stelvio è finalmente conquistato alle 17 in punto, come previsto dal ruolino di marcia. Ci fermiamo qualche minuto per bere qualcosa e gettare un occhio al souk di cianfrusaglie-souvenir, quindi via per l’ultimo balzo verso Glorenza passando dalla Svizzera.
La strada sembra facile, ma in effetti necessita molta attenzione. Ci sono degli invitanti rettilinei che inducono alla velocità, però devi sempre fare conto con il solito pericoloso tornante in agguato, soprattutto devo dare conti con i freni del mio vecchio mezzo che sono, si può dire, quasi un optional.
La vallata che percorriamo è neanche a dire da cartolina. Comunque superiamo Muestair in un battibaleno, anche perché il traffico è inesistente, ed alle 18.45 sediamo a Glorenza davanti al nostro abituale Campari per brindare alla splendida giornata.
Il giorno dopo decidiamo di non passare da Bolzano ma di scavalcare il passo Palade (1660 m.) che congiunge l’Alto Adige con la Val di Non. Il panorama è bellissimo. Facciamo una piccola deviazione al Lago Smeraldo, un sito incantevole dove il tempo sembra essersi fermato, mancano solo gli elfi e tutto sembrerebbe una favola. Lì ci regaliamo un momento di relax gustando le forelle (trote) fritte molto buone, innaffiate da un profumato vino bianco altoatesino. C’è un siparietto che precede il nostro pranzo. L’amico Francesco, che ha girato il mondo ma conosce poco o niente il tedesco, anzi per niente, sconosceva cosa fossero le forelle, così il nostro sfottò, durato un bel po’ di tempo, lo porta finalmente a scoprirle, ma soprattutto a gustarle, arricchendo così il proprio scarno vocabolario della lingua dei Nibelunghi.
Il ritorno riprende, e puntualmente arriviamo a Verona all’ora prevista.
La mia Macchia Nera, ancora una volta, si è mostrata all’altezza dell’impegno richiesto, e come un vecchio innamorato la bacio prima di parcheggiarla per il meritato riposo.
Alla prossima scalata ! Non c’è dubbio, sembra rispondermi. Io ci conto.