di Gino Goti
Entrato in RAI come annunciatore radiofonico nel 1966, dopo un durissimo corso a Firennze all’Accademia della Crusca con docenti come Giacomo Devoto, Bruno Migliorini, Gianni Papini, Fiorelli, Pieraccioni…avevo i requisiti per partecipare, nel 1968, alla selezione per radiotelecronisti riuscendo a superare la prima impegnativa prova. Di 800 iscritti rimanemmo una sessantina, i posti da coprire erano 22. Era il concorso da cui emersero Bruno Vespa, Bruno Pizzul, Fraiese, Santalmassi e altri nomi che sarebbero diventati famosi cronisti radiotelevisivi. L’ultima prova, dopo le numerose di cultura, di cronaca, di economia, di sport consisteva nel commentare un servizio televisivo del TG, proposto muto, e nel commentarlo immediatamente dopo a cominciare dall’inizio. Il mio turno era dopo Paolo Fraiese e Mario Giobbe: Fraiese, Giobbe, Goti.
Luca di Schiena, il direttore della Commissione composta da giornalisti, registi, professori universitari, scrittori mi disse dal citofono della sala della commissione: “Lei ha chiesto di fare il telecronista sportivo di ciclismo, aspetti un attimo”. Furono 10 minuti di attesa, forse di più in un infuocato pomeriggio di agosto e senza aria condizionata in via ei Robilant-zona Ponte Milvio e Foro Italico.
Per me arrivarono le immagini della tappa del Giro d’Italia 1966 con arrivo alle Tre Cime di Lavaredo con un tempo terribile: vento, neve, freddo. La TV era allora in bianco e nero ed era difficile identificare i corridori subito coperti, dopo l’arrivo, da giacconi o coperte e praticamente senza elementi o colori di riconoscimento evidenti. Impossibile fare una telecronaca con quelle immagini: mi aiutai, parlando per i 5/6 minuti del servizio con le mie conoscenze storiche del ciclismo avendo in biblioteca numerosi libri di questa per me interessante materia. Parlai ampiamente della tappa del Bondone del 1956 con una tappa simile vinta da Gaul, del ciclismo eroico delle strade sterrate, dei ricordi di Bartali di quando le ruote affondavano per 10 centimetri nel ghiaietto del tremendo Galibier ed era una fatica immane salire e restare in equilibrio…..ma non ero nella cronaca.
Anche la prova di cultura, ero iscritto alla facoltà di lettere moderne, era molto impegnativa: Di Schiena scelse la consegna del Premio letterario Strega 1966 al Ninfeo di Villa Giulia. Altri interminabili 5/6 minuti riempiti con parole “rubate”al cartello della classifica inquadrato ogni tanto dalle telecamere. Fu dura arrivare in fondo anche se, allora, ero un fedele abbonato alla mitica “Fiera Letteraria”- Non entrai nei 22, fui ventiseiesimo, mi pare e continuai a fare l’annunciatore, il responsabile dell’ufficio programmi della sede RAI di Perugia, il programmista-regista radiofonico con collaborazioni e contributi in programmi nazionali come “Buon Pomeriggio” con Maurizio Costanzo e Dina Luce, con i programmi culturali di Silvio Gigli e altri, per poi approdare anche alla regia televisiva con la soddisfazione di aver realizzato il “ciclismo” con le immagini del regista e non con le parole del telecronista. Soddisfazione comunque enorme di essere giunto come regista a raccontare corse e classiche importanti, tappe del Giro d’Italia (anche quello indimenticabile vinto da Pantani di cui ero stato regista anche della sua vittoria del giro dilettanti dopo essere giunto terzo e secondo nei due anni precedenti), Giri d’Italia dilettanti (dal 1991 al 2005), Giri Femminili e campionati del mondo su strada e di ciclocross, per restare solo nella specialità più bella del mondo come ripeteva sempre Alfredo Martini.