Gianni Brera giornalista o scrittore? Il dibattito è ancora aperto. C’è chi lo ritiene uno scrittore vicino al verismo, chi un giornalista sportivo.
di Adalberto Scemma
Discussione ancora aperta: Gianni Brera giornalista o scrittore?
Tutti ancora a discutere, i critici in malafede, sulla collocazione più realistica da dare a Gianni Brera: giornalista o scrittore? Domanda pleonastica ma soprattutto oziosa, perché una categoria non esclude l’altra. E nel caso di Brera, e di una bulimia espressiva che lo esime da ogni stucchevole compressione, proprio l’irrinunciabile frenesia con cui ha saputo raccontare le vicende sportive gli ha consentito infatti di uscire non solo dalla costrizione linguistica ma anche dall’usura cronistica.
Troppe occasioni, nell’anno del Centenario, sono state sprecate privilegiando la sterile e acritica celebrazione del personaggio Brera con tutti gli stereotipi (la Pacciada, la Padania, il Gadda spiegato al popolo…) rimastigli appiccati addosso come un’insopportabile patina muffosa. Quanto è bastato per farne un’icona popolare, certo, ma proprio per questo prigioniera di sé stessa se pensiamo a quella pletora di recensori improvvisati che ha fatto di tutto per giustificare nei confronti di Brera il quantum mutatus ab illo dell’Enea virgiliano.
Celebrazione di Brera a Mantova
In un panorama che ben poco ha concesso all’analisi critica di taglio accademico, ecco emergere invece due eventi destinati a essere ricordati nel tempo: la celebrazione breriana proposta a Mantova da Panathlon e Coni (11 febbraio 2019) nella strepitosa Sala degli Addottoramenti del Liceo Classico Virgilio e inserita nell’ambito delle manifestazioni per Mantova Città europea dello sport 2019 e il reading su Gianni Brera proposto a Cosenza (25 maggio 2019) da “Il nuovo Quotidiano del Sud”
A Mantova è bastato l’intervento di alcuni tra i più autorevoli esponenti della critica letteraria (da Franco Contorbia e Gilberto Lonardi, da Alberto Brambilla a Sergio Giuntini, da Andrea Maietti e Luigi Surdich fino alla nobiltà giornalistica di Mino Allione e Claudio Rinaldi) a consacrare l’iniziativa di Panathlon e Coni e a consegnare la «leggenda di Gianni Brera» al quinto volume degli ormai classici Quaderni dell’Arcimattoin uscita nel prossimo novembre. A Cosenza, invece, Brera è stato celebrato tra i giornalisti del secolo accanto a Oriana Fallaci, Enzo Biagi e Giuseppe Fava.
Brera vicino al “verismo”.
Se cerchiamo per Brera una chiave di catalogazione credo che dovremmo parlare di “verismo”. Gli piaceva Verga, in effetti, in Francia si era sicuramente avvicinato a Guy de Maupassant e a Emile Zola, ma al di là di collocazioni azzardate basterebbe ricordare, per concretezza, e per onorare una critica finalmente esaustiva, che un filologo del calibro di Franco Contorbia ha inserito Brera tra i grandi classici del nostro Novecento con una puntualizzazione: inutile perdersi in dibattiti stucchevoli sull’attualità o meno di un paradigma letterario comunque inimitabile. Dovremmo interrogarci invece su un destino editoriale forse troppo frastagliato e su una filologia che se escludiamo lo stesso Contorbia, Gilberto Lonardi, Surdich, Massimo Raffaeli, Brambilla e pochi altri appare un po’ troppo dispersiva. Ma c’è di più. Basterebbe affidarsi al giudizio di Cesare Garboli, tra i critici letterari più autorevoli in assoluto, che definisce Brera: “uno scrittore stupendamente rientrato in saggista, un costruttore di pure invenzioni, di squisiti arbitrii di intelligenza”.
Brera giornalista sportivo
In fondo Brera era ben più avanti dei criticonzoli che lo punzecchiavano: aveva capito che scrivendo di sport si può scrivere di tutto sia perché ci si allena alla velocità, all’immediatezza della scrittura, ma soprattutto perché lo sport ha molte sfaccettature, è mimesi di vita, offre al racconto una varietà infinita di pieghe.
La riflessione conclusiva è inevitabilmente legata a una virgola di inguaribile nostalgia. Ci si è chiesti a suo tempo quale sarebbe oggi, in questo giornalismo, il ruolo di Brera. Va detto che negli ultimi anni della sua carriera, dopo il Mondiale di Spagna, l’interesse di Gianni Brera per il calcio era già andato esaurendosi. Lui sembrava ormai disamorato, sazio fino alla nausea e quindi incapace di affrontare una sorta di irreversibile crisi di rigetto. Incapace in realtà di riciclarsi.
Nessun ruolo per lui, purtroppo, nel giornalismo sportivo di oggi. Prima di tutto per la compressione degli spazi: nei quotidiani 50 righe sono il massimo della concessione, Brera avrebbe dovuto adattarsi a una sorta di continua autocastrazione letteraria. In secondo luogo perché non avrebbe tollerato l’invadenza di salotti televisivi, per lui infrequentabili nella dimensione attuale, con gli opinion makers di giornata.