La straordinaria vicenda di vita dell’atleta azzurro
“In Polizia per Sport” è l’autobiografia del campione veronese che a fine carriera, dopo l’ingresso nelle Fiamme Oro, ha scelto di operare nei servizi speciale fino a diventare comandante delle mitiche “teste di cuoio”- L’affettuosa presentazione di Stefano Bizzotto-
di Adalberto Scemma
Oggi, se parliamo di sport, c’è sempre qualcuno che fa di tutto per svilirne il significato. Qualcuno che dimentica persino l’onda lunga della retorica. Lo sport, questo s’usava dire, lo sport è scuola di vita, lo sport è mimesi di vita. Lo è perché raccoglie in sintesi tutti gli elementi di quella lunga corsa, di quella lunghissima corsa, che è la vita.
Alla base di tutto, alla radice di ogni competizione sportiva, c’è un elemento primario che si chiama confronto. Non c’è sport, non può esserci sport senza confronto, non può esserci sport se non c’è un vincitore, e se non c’è un vinto.
Perché dico questo? Perché sempre più spesso chi ama lo sport si trova ad affrontare quel meccanismo becero che vorrebbe imporre ai bambini di giocare a calcio senza vinti né vincitori, di azzerare i gol e anche le classifiche, o di correre gli uni accanto agli altri in modo che l’ultimo sia anche il primo E viceversa. Senza mortificazione per chi viene sconfitto (dimenticando che proprio la sconfitta, soprattutto la sconfitta, è scuola di vita) ma anche senza il lampo di gioia che accompagna da sempre il vincitore di ogni piccola sfida.
In controtendenza, ecco trasferita in un libro (“In polizia per sport”, edito da Il Rio) la storia di un ragazzino, un ragazzino di buona famiglia, dotato naturalmente per l’attività motoria, forse un talento o forse no, neppure lui poteva saperlo quando è stato avviato, casualmente, alla pratica sportiva.
Di talento ne aveva, Massimo Castellani, eccome se ne aveva! Quel talento che l’avrebbe proiettato sui trampolini degli Europei, dei Mondiali, delle Olimpiadi. Campione di tuffi, l’erede di Klaus Di Biasi e Giorgio Cagnotto. Un privilegiato, verrebbe da chiedersi. Ma non era così. Perché nessun risultato, viene ottenuto senza una componente importante di coraggio, di abnegazione, di senso della giustizia, senza una componente di amore. Allora sì che lo sport, quando sono questi i presupposti, diventa scuola di vita. Qualsiasi strada di vita uno decida di imboccare. Anche la più impervia, anche la più rischiosa Allora sì che quel lampo di tempo che intercorre tra lo slancio preso dal trampolino e l’entrata in acqua, coincide con quello che intercorre tra la scelta di sparare, o di non sparare, un colpo di pistola. Un tuffo, una vita, dicono i maestri Zen. Ma anche un colpo, una vita.
La sorpresa, per chi in questi giorni di clausura coatta recepisce l’input di una buona corroborante lettura, è tutta nel ritmo -intenso, cadenzato- che Massimo Castellani ha impresso a quello che è il suo primo libro e che promette di non rimanere un’opera unica perché altre, c’è da crederlo, ne seguiranno. Ma a coinvolgere sono proprio le storie di coraggio che Massimo racconta ricordando gli episodi vissuti come comandante del Nocs (le mitiche “teste di cuoio”). Storia raccontate con il giusto contributo di pathos ma anche con leggerezza, come è nel suo stile. Il medesimo stile che accompagna la presentazione di Stefano Bizzotto, raffinato telecronista:
“Devo confessarlo, non ho conosciuto Massimo Castellani in versione tuffatore. Mi sono avvicinato a trampolini e piattaforme quando lui aveva smesso da un po’. Ne ho sentito parlare, questo sì. Racconti ricchi di aneddoti da parte di chi è stato suo avversario in giro per l’Italia e non solo. Europei, mondiali, anche un’Olimpiade. Uno dei migliori negli anni più difficili nei tuffi italiani, quelli del “dopo Dibiasi”, del “dopo Cagnotto”. Lui, poi, si faceva vedere ogni tanto a bordo vasca. Un saluto ai vecchi amici, quattro chiacchiere e via, di nuovo al lavoro. “Sai -mi dicevano- sta in polizia. Mica uno qualunque: fa parte dei corpi speciali”. Parole pronunciate a bassa voce, quasi con pudore, da parte di chi sa di custodire un piccolo segreto da rivelare a poche persone fidate. Senza entrare nei particolari.
Me lo sono immaginato, Massimo, dormire con un occhio solo, la valigia e il telefono costantemente a portata di mano. Uno squillo in piena notte: “Preparati, si parte”. Destinazione, durata e soprattutto finalità della missione top secret. Credo che anni e anni di salti mortali e avvitamenti gli siano serviti per intraprendere questa sua “seconda vita”. Senza dimenticare la laurea, conseguita dando esami fra una gara e l’altra.
Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli di entrare nei particolari. Sapevo solo che rischiava la pelle, e tanto bastava ad aumentare a dismisura la considerazione che avevo di lui. Oggi, leggendo il suo libro autobiografico, così ricco di riferimenti storici, posso dire di saperne di più. Non tanto e non solo su quel lavoro così particolare, quanto sul conto della persona. Ne ha viste tante, Massimo. E tante sono state le rinunce, penso solo alla sfera degli affetti. Se nella sua prima vita, quella di tuffatore, l’alternativa era vincere o perdere, nella seconda la posta in palio è drammaticamente alzata. Altro che vittoria o sconfitta; qui di parla di vivere o morire, senza uno straccio di regola codificata. E lui, purtroppo, ha visto amici e colleghi morire. “Mi sparano addosso e non c’è l’arbitro che fischia”, scrive Massimo. Parole che mettono i brividi.
Credo che a distanza di qualche anno possa voltarsi indietro e ripensare con orgoglio a quello che è stato, a quello che la vita gli ha riservato e che ancora gli sta riservando. Sì, perché il dottor Massimo Castellani oggi è un apprezzato primo dirigente della Polizia di Stato. Niente più missioni speciali, a volto rigorosamente coperto, niente più sveglie notturne e partenze per destinazioni ignote, ma la sostanza non cambia. Massimo Castellani resta un fedele servitore dello Stato, che si questi tempi non è cosa da poco, magari con un pizzico di nostalgia per quando i tuffi riempivano le sue giornate”.
Non mancheranno, attenzione, le novità. Perché è in allestimento un lavoro teatrale ispirato al libro “In Polizia per Sport” destinato a coinvolgere anche il figlio di Massimo, Leonardo, attore della Scuola del Piccolo Teatro di Milano intitolata a Giorgio Strehler. In programma a Verona per il 3 aprile, il debutto è stato rinviato a data da destinarsi a causa dell’emergenza coronavirus.