–IL TRENO DEI DESIDERI
–di Massimo Rosa–
C’è stato un tempo, quello degli anni 50, in cui la nostra quotidianità era ricca di momenti di semplicità che ti sapevano regalare non dico la felicità, ma la gioia della vita sì. Poi con l’arrivo degli anni ’60, quelli del mito per la spensieratezza dei giovani e per il boom economico, cominciò a cambiarne il senso.
Così tutto mutò e si complicò. I semplici ma profondi valori di allora subirono una trasformazione, dando così spazio all’edonismo più sfrenato, che generò una società povera di valori come quella di oggi, avara quindi del sapere gioire delle piccole grandi cose, come un tempo.
Perché questa affermazione? Perché da tre giorni a questa parte siamo reclusi tra le mura casalinghe, tanto da poter affermare di stare scrivendo “Le mie prigioni”. Rido per non piangere.
Dunque tutti condannati a casa senza sentire il minimo rumore esterno di auto, di sirene, di voci, che poi è il nostro leitmotiv quotidiano, la nostra colonna sonora. Case che sembrano di
Poi, all’improvviso, il silenzio che ci stava attanagliando da qualche giorno, rendendo ancor più precario il nostro stato di reclusi, si è interrotto. All’improvviso è echeggiata la voce di Adriano Celentano cantando Azzurro. Le finestre ad una ad una si sono schiuse lasciando apparire le persone ch’esse celavano. Quindi, un applauso ha accompagnato il termine della canzone, un tributo a chi ci aveva regalato quella forte emozione, di cui tutti indistintamente abbisognavamo.
E’ dunque grazie ad Azzurro se per qualche minuto abbiamo potuto evadere sul treno dei desideri verso la libertà, cantando sulle sue note. Un momento di ritorno a quegli ormai sbiaditi e lontani anni dei nostri ricordi, quelli di una società semplice ma molto umana, in cui non vi era la paradossale incomunicabilità umana dei nostri giorni, quella di internet.
Grazie Adriano.