Io tifo perché…
-di Marcello Paris*–
Tifoso o sostenitore? La differenza semantica non è cosa da poco per il diverso sentire e soprattutto per il diverso comportamento dei due soggetti. Non serve spendere tempo a spiegare le distinzioni dal momento che questo scritto sarà letto da addetti ai lavori. Dopo questo preambolo passo a dichiararmi sostenitore della Fiorentina dopo esserne stato tifoso.
La storia di tifoso prese l’avvio da ragazzino (allora abitavo a Firenze) nei mitici, per i viola, metà anni Cinquanta quando dopo sofferenze e delusioni la squadra gigliata conquistò il suo primi scudetto. Era la stagione ’55-’56 sotto la presidenza dell’imprenditore Befani. Di lì a poco, anni Sessanta, iniziò il decennio d’oro ma finito quel periodo arrivarono anche le sofferenze. Sì perché il tifoso gioisce con i risultati buoni della squadra e soffre con i cattivi. Dicevo delle sofferenze: queste arrivarono nell’annata ’70-’71 quando i viola corsero il rischio di finire in serie B.
Dunque essere tifoso significa partecipare emotivamente, talvolta con poca sportività. Perché il tifoso non riesce, o ci riesce con grande sforzo, ad essere obiettivo. Allora meglio essere sostenitori, come io sono diventato, ed inneggiare sportivamente alla squadra nella buona sorte, non soffrire e non inveire quando le cose non vanno come si desidera. E poi ora nella veste di panathleta responsabile Fair Play del club essere “vero” tifoso sarebbe rischioso e magari non troppo corretto.
* Socio del Panathlon Club Pistoia Montecatini Terme