“MAMBA” È PER SEMPRE
di Isacco Perno*
Liceo scientifico a indirizzo sportivo “Belfiore” di Mantova
“Dear Basket
Dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzettoni di mio padre
E realizzare canestri immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum
Sapevo che una cosa era reale
Mi ero innamorato di te
Un amore così profondo per cui ti ho dato tutto
Dalla mia mente al mio corpo
dal mio spirito alla mia anima.
Da bambino di sei anni profondamente innamorato di te
Non ho mai visto la fine del tunnel
Vedevo solo me stesso uscirne di corsa.
E quindi ho corso.
Ho corso su e giù per ogni campo dietro a ogni palla persa per te.
Hai chiesto il mio impegno
E ti ho dato il mio cuore
Perché l’ho riavuto con molto di più.
Ho giocato fra sudore e dolore
Non perché fossero le sfide a chiamarmi
Ma perché TU mi chiamavi
Ho fatto tutto per TE
Perché questo è quello che fai quando qualcuno ti fa sentire vivo come tu facevi sentire vivo me”
Questa è “Dear Basket”, la poesia di Kobe Bryant, la sua lettera di addio al basket, Premio Oscar nel 2018. Questa lettera è l’annuncio della sua ultima stagione della carriera, il completamento del suo sogno, il sogno di uno dei più grandi sportivi di sempre.
Tutti conosciamo i successi, i record e i numeri di Kobe Bryant, e raccontarli qui non gli renderebbe onore, sarebbe come limitarsi ad osservare la punta dell’iceberg. Invece no, Kobe è molto di più di quello che ha vinto, è molto di più di quel pezzo di ghiaccio che sporge dal mare. Kobe è quello che è molto più in profondità, quello che non si vede. Kobe è il sudore, la determinazione, l’ossessione, il duro lavoro. E come diceva lui stesso “ciò che conta veramente non è la fine, ma il percorso”.
Kobe Bean Bryant…in due semplici parole, il BLACK MAMBA…proprio così il Black Mamba, uno dei serpenti più velenosi, letali e temibili del mondo. L’alter ego perfetto di Kobe quando giocava a basket. Non appena faceva il primo passo in un campo da basket quel ragazzone di quasi due metri, prima sorridente, si faceva tutto d’un tratto serio, con uno sguardo assassino. Quella faccia diceva tutto: Kobe sarebbe stato disposto a tutto pur di vincere.
La differenza tra Kobe e gli altri giocatori era proprio questa. Non nel fisico, nell’atletismo, nelle potenzialità che in molti avevano. La vera differenza si trovava un po’ più in alto, nella testa, nella sua mente, nella “mamba mentality”. Questa è la mentalità che lo spingeva costantemente al raggiungimento della migliore versione di sé stesso, in ogni momento ed ambito della sua vita, in campo e non. Kobe era ossessionato da quella palla a spicchi, ed era spinto dalla sua passione a volersi migliorare sotto ogni punto di vista, sotto ogni aspetto del suo gioco e delle sue abilità. Kobe studiava molto, leggeva libri, guardava filmati e partite degli avversari per conoscerne i punti di forza e di debolezza.
La sua carriera non fu sempre tutta rose e fiori: non mancarono i gravissimi infortuni, come quello dell’aprile 2013, quando Kobe a 34 anni si ruppe il tendine d’Achille. Infortuni di questo tipo e a questa età quasi sempre pongono fine alla carriera. Kobe però pensava che non era ancora giunto il suo momento. Si rialzò, come faceva sempre, segnò i tiri liberi ed uscì da solo dal campo, camminando. Kobe non voleva porre fine in questo modo al suo sogno e così dopo sette mesi e mezzo di duro lavoro e di riabilitazione tornò in campo con la sua solita faccia tosta e con la sua insaziabile passione.
Tutto era cominciato proprio da quella passione…da quei canestri nella sua cameretta, da quel TAP TAP del pallone sul pavimento. In quei momenti Kobe decise che quello stesso pallone sarebbe stata la sua vita per sempre. Tra infortuni e difficoltà fisiche Kobe era pronto a dire addio al basket, a completare il suo sogno con un’ultima stagione.
Caro basket
Hai donato a un bambino di sei anni il suo sogno di giocare nei Lakers
E per questo ti amerò per sempre
Ma non posso amarti ossessivamente per altro tempo ancora
“Questa stagione è tutto ciò che mi è rimasto da darti
Il mio cuore può reggere il colpo
La mia mente può sopportare lo sforzo
Ma il mio corpo sa che è il momento di dirti “addio”
E va bene così.
Sono pronto a lasciarti andare
Ora voglio che tu sappia
Così possiamo apprezzare ogni momento che ci rimane insieme
Bello o brutto che sia
Ci siamo dati a vicenda tutto ciò che avevamo
Ed entrambi sappiamo
Che non importa cosa farò dopo
Sarò sempre quel bambino con i calzettoni tirati su
E il cestino dei rifiuti nell’angolo
Cinque secondi sull’orologio
Palla nelle mie mani
Cinque…quattro…tre…due…uno
Ti amerò per sempre.
Kobe
(annuncio della morte di Kobe Bryant)
In questo modo il 26 gennaio 2020 veniva annunciata al mondo la morte di Kobe Bryant, di sua figlia di tredici anni Gianna e di altre sette persone a seguito di un incidente in elicottero in Calabasas.
L’eredità di Kobe Bryant va oltre le statistiche e i trofei. La sua vincente “mamba mentality” ha ispirato, ispira oggi e ispirerà in futuro milioni di persone in tutto il mondo a perseguire l’eccellenza in ciò che fanno ed amano. Il suo impegno per la comunità e la sua filantropia continueranno a vivere.
Per questo motivo Kobe non è mai morto veramente quel giorno, ma continua ad esistere attraverso le persone perché come disse lui stesso “gli eroi vanno e vengono ma le leggende sono per sempre”.
*Isacco Perno è studente del quinto anno del Liceo scientifico a indirizzo sportivo “Belfiore” di Mantova e collabora alla rivista di letteratura sportiva “La coda del drago”. Gioca a basket nel San Pio X