La dolorosa storia di un campione paralimpico , che ha trovato nello sport la sua ragione di vita. Da anni lotta contro una malattia degenerativa e porta nelle scuole e nelle associazioni il suo messaggio di vita
di Ludovico Malorgio/Redazione Lecce Area8 Puglia Calabria Molise
“ Le terapie mi fanno sopravvivere, ma è lo sport che mi fa vivere veramente. Ho contratto una malattia degenerativa durante una missione internazionale nei Balcani, ma nonostante le devastanti conseguenze che rendono necessarie pesanti terapie quotidiane ho trovato nello sport la forza per la sopravvivenza “. Parole dure, amare, che hanno destato stupore e sconcerto specie per il contesto in cui sono state pronunciate, la festosa cerimonia ufficiale del Premio ‘Fair Play’ organizzata dal Panathlon Club Lecce. Parole che nascondono anni di tribolazioni, di sofferenze, la rabbia di Carlo Calcagni, 54 di Carmiano (Lecce), che le ha pronunciate al momento di ricevere il Premio alla promozione dello sport’. Dietro c’è la sua storia triste, dolorosa, per certi aspetti incredibile, che ha scatenato un subbuglio di emozioni nell’auditorium dell’Istituto Tecnico Industriale ‘E. Fermi di Lecce’ che ha ospitato la manifestazione. Calcagni é un colonnello dell’Esercito del Ruolo d’onore. Militare ardimentoso, pilotava elicotteri, oggi é un campione paralimpico. Un grande sportivo come Danilo Giannoccaro, 51 anni di Veglie, ex arbitro di calcio con 102 partite dirette in serie A tra il 2003 e il 2012 e come Giorgia Ascalone, 27 anni di Maglie, esperta navigatrice, campionessa italiana di rally, che con lui che hanno ricevuto lo speciale riconoscimento, che il Panathlon conferisce ogni anno a grandi sportivi salentini. Ci sono stati applausi per tutti, il pubblico, composto in gran parte di studenti, con numerosi rappresentati istituzionali e personalità del mondo sportivo salentino, ha molto apprezzato i tre premiati, ma la storia di Carlo ha colpito tutti al cuore. “Ho contratto una malattia degenerativa durante una missione internazionale nei Balcani – ha raccontato Calcagni nel silenzio assoluto – ma nonostante le devastanti conseguenze, che rendono necessarie pesanti terapie quotidiane, ho trovato nello sport la forza per la sopravvivenza. La malattia mi ha piegato, ma non mi ha distrutto perché non mi sono mai arreso. La mia sopravvivenza dipende dall’amore per i miei figli e dalla resistenza fisica che ho sviluppato con lo sport, che ho iniziato a praticare assiduamente a 50 anni. Sono un atleta paralimpico del GS sportivo del Ministero della difesa, amo le sfide e mi metto in gioco in qualunque disciplina che mi faccia sentire vivo nel vero senso della parola”. In effetti Calcagni è un campione paralimpico con decine di successi ottenuti in Italia e all’estero nel ciclismo e nella canoa. Un vero “Eroe dei nostri giorni, capace di trasformare la sua fragilità in un punto di forza attraverso lo sport”, come recita la motivazione del Premio conferitogli dal Panathlon. La sua vita ha un ritmo frenetico, Carlo porta i valori dello sport nelle scuole e nelle associazioni, incontra studenti e atleti, semplici appassionati, cittadini di ogni età, si sposta lungo la Penisola a proprie spese per lanciare il suo messaggio di vita. “Questo premio del Panathlon, tra centinaia di premi ricevuti – ha concluso Calcagni – mi emoziona profondamente perché arriva da un’Associazione di persone che non mi devono niente. Ci sono, invece, riconoscimenti che dovrebbero arrivare dalle Istituzioni perché meritati sul campo. Non ne ho mai avuti, nemmeno una medaglia di cartone riciclato, nonostante abbia dato lustro all’Italia salvando tante vite umane durante la missione di pace nei Balcani del 2007, in cui ho contratto questa terribile malattia (contaminazione da uranio impoverito, ndr). La mia attività è stata nascosta dal Ministero della Difesa, coperta per anni con un assurdo segreto di Stato sulla documentazione che mi riguardava, fino all’intervento del Tar che ha ristabilito la verità”. L’interminabile applauso, una vera standing ovation, che ha messo il sigillo all’amara confessione di Carlo Calcagni, é stato, per certi spetti, lo sfogo naturale della grande commozione provata da tutti i presenti. La questa pur dolorosa storia di vita ha rappresentato una ulteriore presa di coscienza della forza dello sport e del ruolo fondamentale che può avere nella vita di tutti. In effetti, dai successivi interventi delle Autorità ( il vice presidente della Provincia di Lecce Antonio Leo, l’assessore allo sport di Lecce Paolo Foresio, il presidente provinciale del Coni Gigi Renis) é emerso un dato inconfutabile sulla testimonianza di offerta da Carlo Calcagni, una storia vera, amara e sorprendente per il contesto in cui é maturata, che ha fatto riflettere sul valore della vita e sull’importanza dello sport.