Romano Mattè fa il punto sulle condizioni dei calciatori nel post mondiale
Il Calcio di Romano Mattè – REDAZIONE G. Brera Università di Verona – Area1 Veneto Trentino/AA
La lunga sosta ( 51 giorni per la precisione ) per consentire i Mondiali 2022 nel Qatar ha posto gli allenatori e soprattutto i preparatori atletici difronte a una situazione assai problematica mai vissuta prima d’oggi.
Chi non è andato al mondiale come si è allenato ? Le squadre molte ovviamente incomplete si sono allenate disputando qualche amichevole. Ricordo però che il ritmo-partita non lo può dare nessuna metodologia per quanto sofisticata essa possa essere se non la gara stessa.
Le partite amichevoli, che hanno pur sempre una funzione allenante, sono prive di quella componente adrenalinica nervosa, che solo una vera gara può dare. In questo contesto alcuni preparatori hanno posto l’accento sull’importanza della preparazione personalizzata, individualizzata, ipotizzandola come metodologia allenante del futuro.
La scuola veronese (prof. Walter Bragagnolo) non condivide questa visione pur ritenendola valida e opportuna solo in determinate e precise situazioni. Ad esempio durante la serrata per la nota recente pandemia, soprattutto nella prima virulenta fase, l’allenamento personalizzato era necessario per evitare o limitare contatti interpersonali, ed è stato determinante per mantenere una certa condizione di base.
Nella normalità una preparazione personalizzata è fondamentale solo nel recupero di giocatori, che abbiano subito degli infortuni in determinati e precisi gruppi muscolari. Anche i test atletici che hanno l’obbiettivo di misurare le prestazioni dei singoli calciatori richiedono allenamenti personalizzati, che ci consentono di intervenire ed eliminare le carenze dei singoli (sia a livello organico che muscolare) per equilibrare una buona performance collettiva di squadra. Una preparazione personalizzata per colmare carenze fisiche, tecniche o tattiche sia individuali, che delimitati gruppi di calciatori (pensiamo ad esempio agli attaccanti, ai difensori…) può essere utile, ma questa metodologia di allenamento non potrà mai essere la strada del futuro, perché ha dei limiti invalicabili. Pensate al valore empatico di un allenamento di squadra ove esiste una comune gioiosa e talvolta giocosa fatica, una sofferta ma lieta e naturale aggregazione, che fa sentire il gruppo come un solo uomo.
L’allenamento di squadra è fondamentale anche e soprattutto per creare un’anima, uno spirito di gruppo, per ragionare di squadra, mentre quello personalizzato è solo un complementare supporto che va a integrare il lavoro collettivo. Ma vi è un’altra forza nascosta spesso dimenticata che migliora la prestazione di gruppo. È la visione ripetuta di gesti tecnici eseguiti in modo elevato dai compagni più bravi, che stimola e accelera il processo di apprendimento e di crescita da parte dei compagni meno bravi. Tutto questo non vale solo per l’allenamento di base dei bimbi, che sono soggetti altamente plastici, ma anche per i professionisti, perché i nostri neuroni sono attivati e stimolati per tutto il corso della nostra vita. Spesso ci si dimentica (o lo si ignora) di questo importante aspetto, ecco perché l’allenamento personalizzato non può essere una metodologia del futuro, ma solo un importante e complementare supporto di quello collettivo di gruppo.
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