Di Alberto Capilupi – Redazione Panathlon G.Brera UniVr – Area1 Veneto Trentino/AA
Recentemente ho assistito con molto interesse, in un teatro, ad una splendida rievocazione video-audio delle imprese alpinistiche del grande scalatore Walter Bonatti, celebrato dall’efficacissima voce narrante di Diego Alverà.
La serata era stata organizzata a Marmirolo da un club del Panathlon (il Panathlon Club Mantova).
Mi pare tuttavia che il tema trattato nell’evento possa essere considerato una sorta di eccezione nell’ambito del Panathlon, forse perché attività come quelle dell’alpinismo, pur richiedendo notevoli doti sportive (sia atletiche, sia mentali, sia morali), non rientrano nelle finalità organizzative del CONI e neppure in quelle di “Sport e salute”.
Spinto poi dalla curiosità e dal desidero di approfondire la questione, mi sono rivolto ad un esperto scalatore per chiedergli un parere sul rapporto tra le attività di arrampicata e lo sport.
Ne riporto fedelmente la risposta, che probabilmente esprime il pensiero degli autentici appassionati di questa ardua disciplina:
“L’alpinismo ha una tale ampiezza di significati che è persino impossibile definirlo. Il significato è cambiato e cambia in relazione ai tempi e alle nazionalità, in quanto è prodotto culturale di un gruppo sociale. Per questo si parla di Alpinisti Vittoriani, di Scuola di Monaco, di Età d’Oro del Sesto Grado, di Scuola Californiana, ognuna delle quali risponde ad una temperie socio-culturale. La stessa espressione “impresa alpinistica” è difficile da definire. Ci furono tempi in cui era considerato inelegante andare senza guida/e; altri in cui era vergognoso infiggere chiodi, altri in cui non si faceva distinzione fra arrampicata libera e artificiale. Per “fare” la Nord dell’Eiger si pagò un prezzo di cinque o sei morti; la prima cordata italiana la percorse negli anni ’60 e ci mise una settimana: oggi c’è chi la “fa” in tre ore o giù di lì. Analogamente allo sci, l’alpinismo è andato via via specializzandosi (sci di fondo con tecnica classica, con pattinato, sci di discesa, con specialità accuratamente distinte). Sono diversi gli stili e i materiali, sempre più tecnici. L’analogo è avvenuto per l’alpinismo. L’arrampicata sportiva è la più specialistica fra le attività: si pratica in palestra, in totale sicurezza e su difficoltà che nessuno, in passato, avrebbe immaginato. L’arrampicata sportiva, a sua volta divisa in sotto specialità (on sight, velocità, in parallelo) è attività sportiva ammessa alle olimpiadi. Si fanno campionati (Arco per esempio) regionali, nazionali del mondo, con atleti straordinari: come nel nuoto e nella ginnastica i risultati sono determinati dalle caratteristiche somatiche: sono sempre più giovani. Anche lo sci- alpinismo è diventato attività sportiva, su percorsi scelti in modo da evitare i pericoli delle valanghe e con attrezzi progettati per la gara. Ma l’alpinismo classico d’ambiente, quello non può diventare uno sport nell’accezione che il termine ha assunto; perché le variabili in gioco sono troppe: percorso, qualità della roccia, protezioni, condizioni atmosferiche, ecc. Questo non vuol dire che nell’alpinismo (lo chiameremo “classico”) la rivalità non ci sia; anzi: ne è l’essenza da sempre. Se frequenti gli alpinisti o anche facebook, puoi osservare che ognuno vuole far sapere che ha “fatto” la tale via, suscitando la reazione dei colleghi che si affrettano a informarlo che loro l’avevano già fatta più volte e in condizioni molto più difficili. Questo vale per i modesti alpinisti e per i draghi che, sul libro del rifugio, specificano il tempo impiegato (non di rado, al minuto). Per i giovani alpinisti classici la rivalità di cordata, di gruppo, di nazionalità è fondamentale. Ci sono vie che è assolutamente necessario aver “fatto” e il valore di ciascuna è deciso dal gruppo di riferimento (quanti chiodi hai usato?). Quindi, caro amico, l’alpinismo classico non si può assimilare allo sport nell’accezione che ha assunto; ma è basato sulla rivalità: lo è sempre stato. Al punto che – e lo si vede nei rifugi – ognuno manifesta nell’abbigliamento la qualità di alpinista che è o che vorrebbe essere: la tuta, il casco, le scarpette, ecc. “.
Che idea mi sono fatto personalmente della questione, tenendo conto dell’illuminante risposta?
Poiché l’alpinismo si basa da sempre sulla rivalità e su capacità psico-fisiche (proprio i due aspetti principali degli sport), mi pare che si possa correttamente considerarlo simile allo sport, pur differenziandosene. In questo caso l’assimilazione non significherebbe inglobazione, ma soltanto somiglianza.