Di Adalberto Scemma – Redazione G.Brera Univr Area1 Veneto Trentino/AA
Francesco Caremani è aretino come Pietro (di cui possiede una vena caustica sapientemente sotto controllo) e anche questa sua connotazione deve essere alla base di scelte identitarie sempre al di là della consuetudine. Lo conosco come partner sodale di Lorenzo Longhi e ne ho sperimentato la sapienza mediatica in una brillante lezione di letteratura sportiva all’Università di Verona. La scelta di condividere con Longhi l’impegno in una testata coraggiosa e per tanti aspetti rivoluzionaria come “Sport Light” ne certifica la libertà espressiva. Nulla dei suoi molteplici interessi culturali mi avrebbe lasciato immaginare tuttavia una spinta emozionale in direzione dell’Hellas Verona, cui ha dedicato l’ultimo dei suoi libri, dal titolo anche troppo emblematico, persino in odore di autismo: “Hellas Verona”, sic et simpliciter. Con un sottotitolo ancora più restrittivo: “C’è un solo Hellas Verona”.
Dovremmo spiegare al clito, a questo punto, e anche e soprattutto all’inclita, il perché e il percome la grande stampa nazionale si ostini sempre e comunque a evitare accuratamente il nome Hellas (che identifica prioritariamente la squadra) privilegiando quel Verona che nella dicitura della squadra rappresenta una componente secondaria. L’urlo della curva, per dire, premia l’Hellas in esclusiva, non esiste il Verona nei cori del tifo. Non c’è una vera ragione, in effetti. È soltanto una questione di abitudine, o di pigrizia: l’Atalanta continuerò a essere conosciuta come tale senza l’accoppiamento coatto con Bergamo, la Sampdoria rimarrà per sempre orfana di Genova, la Spal ignorerà Ferrara e così via. L’Hellas, invece, verrà derubricata vita natural durante ad appellativo secondario lasciando tutto lo spazio alla denominazione della città.
Torniamo all’”Hellas Verona” di Francesco Caremani, edito da Bradipolibri nella collana Arcadinoè di letteratura sortiva (242 pagine, 18 euro). Sono 38 i personaggi gratificati da un racconto monografico: i 18 storici protagonisti dello scudetto 1985 (17 giocatori e Osvaldo Bagnoli) più 20 “leggende”, dal brasilero Arnaldo Porta degli anni pionieristici, all’inalienabile Gianfranco Zigoni, da Luca Toni a Dragan “Piksi” Stojkovic, da Virgilio Levratto lo “spaccareti” al più casalingo ma ugualmente amato Giancarlo “Pupa” Savoia. Ciascuno di loro, per quanto ha lasciato di sé nella storia centenaria dell’Hellas, meriterebbe una singola biografia. “Questa però – specifica Francesco Caremani – non è un’enciclopedia. Nello stilare questa speciale Hall of Fame gialloblù sicuramente qualche protagonista lo abbiamo perso per strada e, a volte, per scelta. L’obiettivo è quello di rendere omaggio a una storia che merita di essere raccontata e ricordata attraverso i ritratti dei giocatori e degli allenatori che più e meglio degli altri ne hanno segnato i periodi maggiormente significativi”.
Il personaggio di riferimento? Nessun dubbio nell’indicare il nome di Osvaldo Bagnoli, oggi alle radici del mito. “Bagnoli – scrive Caremani – è stato un uomo che ha fatto bene al calcio italiano e per certi versi pure al giornalismo. E se vi chiedete quand’è che il football tricolore ha iniziati a scricchiolare ricordatevi sempre cosa rispondeva Bagnoli quando gli chiedevano perché non andasse più in televisione: perché non si poteva fare un discorso serio. Ecco, il football ha cominciato a scricchiolare quando gli slogan e le battute velenose hanno preso il posto del racconto calcistico, quel racconto di cui Bagnoli e tutto l’Hellas Verona fanno parte”.