OVERTIME FESTIVAL
Qui Pesaro – Angelo Spagnuolo – Area5
“Volevo informarvi, con immensa gioia, che lo Zio è stato dimesso ed è finalmente tornato a casa. La ripresa sarà lenta e faticosa ma lui è abituato alle grandi battaglie ed anche questa volta è riuscito a vincere”. Con questo messaggio su Facebook, il nipote Andrea ha aggiornato e rassicurato tutti noi sulle condizioni di salute di Salvatore Antibo, uno dei più grandi rappresentanti del mezzofondo e dell’atletica italiana di ogni tempo, recentemente ricoverato d’urgenza a Palermo in condizioni critiche a causa di una grave embolia polmonare.
L’ennesimo duro ostacolo da affrontare e superare, una nuova drammatica tappa di un calvario trentennale iniziato nell’estate 1991 a Tokyo, durante la finale mondiale dei 10000 metri piani. Ricordo benissimo quella gara: ero incollato davanti alla TV, in trepidante attesa, a fare spassionatamente il tifo per Antibo considerato tra i grandi favoriti, anzi il favorito numero uno, arrivando da una stagione ricca di prestigiosi risultati, tra cui la vittoria al meeting di Stoccolma. I primi giri sembravano confermare le aspettative, con Totò in testa al gruppo a dettare l’andatura, con l’obiettivo di rendere dura la corsa e fare subito selezione. Con passaggi intermedi sotto il record del mondo. Poi a metà gara il buio, l’imprevisto che lasciò tutti sbigottiti e increduli. Antibo cominciò a perdere rapidamente posizioni, venne superato da molti concorrenti, fino ad essere sfilato in fondo al gruppo, ultimo. Non si ritirò, continuò a correre, a bassa andatura, staccato da tutti gli altri. Si guardava attorno frastornato e attonito, estraniato, sembrava andare avanti solo per inerzia, come un automa. Riuscì comunque a portare a termine la competizione, forte del suo spirito combattivo e dell’innato temperamento. Da casa non si ebbe la percezione esatta di quello che stava accadendo, del dramma che si stava consumando in mondovisione. La spiegazione di quanto accaduto arriverà pochi giorni dopo i Mondiali. Una sentenza dura, difficile da digerire e accettare ma che Antibo svelerà senza remore, con il coraggio e la coerenza che hanno sempre contraddistinto e accompagnato la sua vita e la sua carriera da atleta. A frenarlo, a colpirlo fu un terribile attacco di epilessia.
Antibo non demorse, per un periodo riuscì anche a far conciliare cure, farmaci e attività sportiva, riuscendo a tornare a gareggiare e ottenendo, tra l’altro, un ottimo quarto posto nei 10000 metri piani ai Giochi di Barcellona 1992. Un risultato incredibile per le condizioni in cui fu ottenuto, una posizione che, per inciso, nessun mezzofondista italiano sarebbe riuscito non solo più a centrare ma nemmeno ad avvicinare nelle successive edizioni delle Olimpiadi. Soprattutto un grande esempio, la dimostrazione concreta che anche chi soffre di una malattia così subdola può continuare a raggiungere grandi risultati, nello sport e nella vita. Un potente messaggio di speranza che all’epoca avrebbe meritato ben altra cassa di risonanza e che invece fu poco celebrato, valorizzato, amplificato.
Con l’acuirsi della malattia, Totò fu poi costretto a ritirarsi dalle competizioni e ben prestò finì nell’oblio più assoluto. I riflettori e le luci della ribalta si spensero quasi completamente. Si ritrovò abbandonato, solo ad affrontare le crisi sempre più frequenti. Confortato dall’affetto e dalla vicinanza dei familiari, dei suoi concittadini di Altofonte in provincia di Palermo, da qualche telefonata dei suoi vecchi compagni di Nazionale. Per molti anni dimenticato dallo Sport italiano che pure, grazie a lui, aveva conosciuto, assaporato e vissuto gioie e onori di vittorie di livello mondiale. Lo Stato se ne è ricordato nel 2004 quando, accertati gli effetti invalidanti della malattia, l’ha riconosciuto beneficiario dell’assegno straordinario vitalizio riservato agli atleti italiani che nel corso della loro carriera abbiano onorato la Patria, anche conseguendo un titolo di rilevanza internazionale, e che versino in condizione di grave disagio economico. Una diaria concessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e intitolata a Giulio Onesti.
A seguire un nuovo lungo, sconcertante, assordante silenzio sulla vicenda umana di questo eroe del nostro sport. Spezzato il 22 dicembre 2020 dall’appello drammatico e accorato che lo stesso Antibo ha rivolto alle Istituzioni italiane in occasione di un’intervista rilasciata al giornalista della Gazzetta dello Sport Davide Romani, in cui ha raccontato di “soffrire in media di 60 crisi al mese, due al giorno, anche se in alcuni giorni arrivo a quattro. La malattia è incurabile, l’unica prospettiva è un’operazione”. Un intervento, consistente nell’applicazione di un elettrostimolatore vagale nella spalla, rinviato per sette mesi a causa dell’emergenza Covid che ha ritardato o bloccato molte attività ospedaliere “ordinarie”, e a cui poi è stato finalmente sottoposto a febbraio 2021 all’ospedale di Germaneto, in provincia di Catanzaro. “Io non voglio aiuti, vorrei solo essere trattato come tutti quei cittadini che hanno bisogno di cure mediche. Se l’Italia non è in grado di offrircele dovrebbe vergognarsi”, aveva tuonato Antibo in quell’intervista. Parole forti, dirette, senza retorica o inutili preamboli. Un grido disperato di dolore con cui non ha solo voluto evidenziare la sua condizione personale, l’impossibilità di attendere oltre quella operazione, ma si è fatto anche portavoce, portabandiera, dei bisogni e delle necessità di tanti malati italiani in questo complesso periodo.
Tutti gli appassionati di sport ora seguono con affetto, calore e speranza gli aggiornamenti sullo stato di salute di questo atleta che ha iniziato a correre quasi per caso, convinto a farlo dal tecnico siciliano Gaspare Polizzi, un secondo padre, che aveva individuato in lui le potenzialità del campione durante un provino. Smisurato talento, disciplina ferrea, tanta tenacia, stage in altura al Sestriere, allenamenti in Africa in diversi periodi di ogni anno sono stati tra i segreti del successo. Con la famiglia pronta ad assecondarlo in tutto, perfino nella richiesta avanzata dallo stesso Polizzi di smettere di fumare in casa, per non arrecare pregiudizio alla carriera di Totò.
Antibo si rivelò al grande pubblico già a Los Angeles 1984, quando, a soli 22 anni, arrivò quarto nella gara dei 10000 metri vinta da un altro grande rappresentante dell’atletica italiana, Alberto Cova. Durante quella competizione la Gazzella di Altofonte pagò probabilmente a caro prezzo la scelta di indossare scarpe che non aveva mai calzato prima e che gli procurarono non poco fastidio e dolore.
Dopo il bronzo agli Europei di Stoccarda 1986, a completare con Mei e Cova un podio tutto italiano, la rivincita olimpica arrivò con la strepitosa medaglia d’argento di Seul 1988 quando, grazie al suo proverbiale rush finale, sopravanzò sul rettilineo conclusivo dei 10000 metri il keniano Kimeli.
Il biennio 1989-90 fu il periodo dell’apoteosi: nessuno riuscì a battere Antibo, neppure gli atleti africani che si stavano già prepotentemente affermando in campo internazionale e che dopo di lui non lasceranno altro spazio di gloria agli atleti europei. Nel 1990 Totò si presentò agli Europei di Spalato – quelli che videro grande protagonista anche Annarita Sidoti nella marcia – da grande favorito e non tradì le attese: dominò la gara dei 10000 metri infliggendo agli avversari distacchi abissali; pochi giorni dopo vinse anche i 5000 metri, dopo una formidabile rimonta seguita a una caduta che l’aveva coinvolto nel primo giro di pista, con gli avversarsi a tirare a tutta per cercare – invano – di metterlo fuori gioco. Uno dei tanti inciampi che lo sport e la vita gli hanno riservato e da cui è riuscito a rialzarsi ed emergere più battagliero di prima.
Questo articolo di Angelo Spagnuolo, rielaborato per Panathlon Planet, è tratto dal blog di Overtime Festival, la Rassegna Nazionale del Racconto, dell’Etica e del Giornalismo Sportivo, che si svolge da dieci anni a Macerata nel mese di ottobre (https://overtimefestival.it/blog-overtime/)
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