Qui Milano – Marco Filannino – Area2
La vicenda del controverso caso Schwazer è intricata e complessa, iniziata nel gennaio 2016 con un controllo antidoping sull’atleta di Vipiteno, intento a prepararsi per le Olimpiadi di Rio, e conclusa nel febbraio di quest’anno con l’archiviazione del procedimento giudiziario per “non aver commesso il fatto”. Nel mezzo la squalifica sportiva per otto anni che costringerà l’atleta a non gareggiare fino al 2024.
Ed è proprio dalla squalifica e dal ritorno alle gare che inizia l’intervento di Alex Schwazer durante il webinar organizzato dal Panathlon Club di Milano che vede la partecipazione, oltre che dell’atleta stesso, del presidente del Panathlon Club Milano Filippo Grassia, dell’allenatore di Schwarzer, Sandro Donati, l’avvocato Carlo Carpanelli e l’avvocato Matteo Pozzi.
“Io non chiedo di essere riabilitato, come magari tanti altri al mio posto farebbero, ma chiedo che, con questi nuovi fatti che sono emersi adesso, di essere di nuovo giudicato da un organo della giustizia sportiva”. Spiega l’atleta, che aggiunge “Se ci sono le condizioni giuste faremo un tentativo. Il mio sogno è quello di gareggiare a Tokyo, una gara che mi è stata tolta. Sarebbe una bella cosa dopo quattro anni di battaglie in sede legale”
Alla domanda di Filippo Grassia se si è mai sentito al centro di un complotto Schwazer ha risposto così: “Quando è stata notificata la positività ero in uno stato di shock. Ero sicuro che o ci fosse un errore, forse uno scambio, oppure qualcosa di voluto. Man mano che la vicenda andava avanti ho capito che è stata una cosa voluta”. Poi sull’impatto della tempistica delle notifiche prima delle Olimpiadi di Rio dice: “È stato tutto molto pesante, hanno anche ritardato a consegnarci la notifica, costringendoci a saltare la prima istanza. Inoltre, tutto il procedimento è stato fatto a Rio, quando in realtà si sarebbe dovuto tenere a Losanna perché non era un caso olimpico. Tutti mi dicevano di non andare al dibattimento perché non avevo la possibilità di difendermi in modo adeguato ma io atleta ero e sono, volevo crederci perché non ho fatto niente, abbiamo sudato per arrivare alle Olimpiadi. Volevo provarci fino in fondo altrimenti non sarei andato a Rio”.
Sandro Donati, allenatore che ha seguito Alex Schwazer dopo la squalifica del 2012 e da sempre impegnato nella lotta contro il doping internazionale ha spiegato cosa significa la frase “Vogliono farmela pagare” detta qualche anno fa. “Tutta questa vicenda è iniziata dopo una deposizione fatta da Alex al tribunale di Bolzano il 16 dicembre 2015 contro due medici, uno dei quali tra i responsabili antidoping della IAAF. Un’ora dopo è stato commissionato un controllo da fare entro quindici giorni ad Alex. Il collegamento temporale già di per sé crea una prospettiva di movente”. Il laboratorio analizza le urine dell’atleta italiano e le trova negative, nonostante ciò, vengono ricontrollate con un metodo molto raffinato: “Qualcuno da Montreal ha chiesto di riesaminare le urine con i radioisotopi, così quella negatività diventa positività”.
Dalle testimonianze raccolte, dai metodi di conservazione e di trasporto dei test, dalle false dichiarazioni si ha la sensazione che qualcosa di strano sia successo, ma ci si chiede perché manipolare le provette Schwazer? “All’inizio primo obbiettivo era screditare Alex nel caso dei due medici – aggiunge Donati – poi sono intervenute altre entità dal Canada ed è diventata una congiura di alto livello. Anche atti ostili nei miei confronti”.
L’avvocato Carpanelli chiede a Schwazer se è pronto a combattere per tornare a marciare. “Personalmente sono pronto, la questione è se anche le istituzioni italiane sono pronte. Da quattro anni ce la dobbiamo sbrigare un po’ da soli. Ricordo che quando a Pechino ho tagliato il traguardo, tutti mi erano vicini. Anche adesso forse sarebbe un momento di essere vicini con cose concrete e non con le parole. Con le parole non si va lontano. Io aspetto ma il tempo non è tanto. Voglio capire se al ricorso devo andare da solo o ci sarà un aiuto concreto. Se il CONI o la FIDAL ritengono di aver avuto un danno, possono presentarsi come parte lesa. Io da solo non ci vado più, perché se poi ho ragione e posso tornare a gareggiare, e magari vado bene, mi darebbe fastidio sentirmi dire «ti siamo sempre stati vicini». Se il CONI o la FIDAL mi assistono, andiamo insieme, possiamo anche perdere ma intanto andiamo insieme. Mi meraviglio che nessuno in Parlamento abbia detto una parola, la Wada prende 1 milione dal governo italiano, che almeno abbiano la decenza di rispettare la decisione di un magistrato italiano, invece silenzio totale.”
E per finire Schwazer ci racconta quanto può essere difficile sopportare questo tipo di situazione e quanto si possa resistere dopo accuse di questo tipo.
“Sicuramente molto di più di quanto pensiamo, tutti quanti, c’è il momento in cui ci si accorge di avere questa resistenza. Mi auguro si faccia revisione ma che l’Italia dimostri di stare al fianco di un atleta non solo quando vince ma anche in un momento difficile. Spero che queste persone non si dimentichino di me, mi viene un po’ di amarezza perché ho dato lustro anche a loro. Oggi ho 36 anni e non sono ancora vecchio, spero di fare qualche gara, perché comunque abbiamo speso centinaia di ore per allenarci andare a Rio e poi adesso per tentare un ritorno, secondo me sarebbe bello vedere concretizzare questo impegno con il diritto di tornare alle gare. Nonostante questa vicenda difficile ho vissuto degli anni belli, ho una bella famiglia. A livello privato sto bene e malgrado le difficoltà anche a livello professionale sono riuscito a reinventarmi e fare una bella attività con gli amatori.”
Il webinar si conclude con l’augurio, da parte del presidente Grassia, di poter invitare gli ospiti di oggi Alex Schwazer e Sandro Donati a visitare il Panathlon Club di Milano non appena si potrà.