Qui Pesaro – Angelo Spagnuolo – Area5
Capello brizzolato, qualche ruga ad affacciarsi sul viso, occhiaie appena appena più pronunciate, sempre la stessa prorompente voglia di giocare a calcio e prefissarsi nuovi obiettivi, traguardi da raggiungere, record da abbattere. Senza nessuna intenzione di appendere gli scarpini al chiodo.
Kazuyoshi Miura, il calciatore giapponese più celebre e iconico di ogni tempo, ha festeggiato nel migliore dei modi i suoi primi 54 anni compiuti lo scorso 26 febbraio, iniziando ufficialmente la stagione numero 36 da professionista, con la maglia dello Yokohama F.C. nella J1League, la Serie A giapponese. “Kazu” è entrato di diritto nella storia del calcio, confermandosi il più anziano giocatore di sempre ancora in attività in campionati professionistici, dopo aver già battuto nel 2018 il record che apparteneva a Kevin Poole, estremo difensore inglese che difese le porte di Aston Villa, Leicester, Birmingham City, Derby County, Burton Albion, prima di ritirarsi nel 2014 a 51 anni suonati. Altro primato significativo: Miura è diventato l’unico a giocare almeno un incontro ufficiale in cinque decadi diverse – ’80, ’90, ’00, ’10, ’20.
Numeri e record impressionanti, che testimoniano la longevità di una carriera costellata di scelte coraggiose, costruita passo dopo passo, in cui nulla è stato semplice o banale. Fin dagli inizi, dagli esordi. Dopo aver tirato i primi calci nella squadra del suo paese, Miura capisce che per cullare il sogno di diventare un campione non può restare in Giappone ma deve imparare i trucchi del mestiere nella nazione in cui tanti campioni sono nati, sbocciati e cresciuti: il Brasile, dove si trasferisce a soli 15 anni con il fratello animato dallo stesso sogno.
La sua storia è così affascinante da ispirare il personaggio di Holly, il protagonista del manga Capitan Tsubasa, creato da Yōichi Takahashda, e da cui sarà tratto il cartone animato noto in Italia con il nome di “Holly e Benji”, che ha incollato davanti ai televisori generazioni e generazioni di bambini (e adulti).
Proprio come Miura, Oliver Hutton ha il sogno di diventare campione del mondo con la Nazionale giapponese e per migliorare le sue qualità va a giocare in Brasile. Ma si sa, la realtà è spesso molto più dura della trasposizione letteraria o cinematografica: mentre Holly diventa presto un fuoriclasse internazionale assoluto, per Kazu la pagnotta è molto più dura. Enormi sono le difficoltà di ambientamento e linguistiche, da lui stesso ricordate nel 1998 in un’intervista a fifa.com: “i primi tre anni sono stati abbastanza difficili e ho spesso avuto nostalgia di casa ma poi ho imparato la lingua, ho preso la patente e mi sono divertito in Brasile”. Nel 1986 riesce ad approdare al Santos, la squadra che fu della leggenda Pelé. Colleziona poche presenze, cambia squadra ogni anno. Kazu però non molla, non è nel suo DNA. La svolta arriva con il Coritiba con cui segna 6 reti e vince il Campionato paranaense. Miura rappresenta un’attrazione dal sapore esotico per i tifosi brasiliani che accorrono a vederlo, incuriositi anche dalla Kazu Dance, il balletto con cui esulta ad ogni gol realizzato.
Siamo nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino, della protesta di piazza Tienanmen, del Nobel per la Pace assegnato al Dalai Lama, dello scudetto dei record dell’Inter di Trapattoni, dell’assurda tragedia di Hillsborough. E Miura già allora gioca a ottimi livelli.
Cresciuto calcisticamente e umanamente, fortificato dall’esperienza brasiliana – rivelatasi invece fallimentare per il fratello – torna in patria nel 1990, nutrendo profonda gratitudine e un pizzico di nostalgia per il paese carioca.
In Giappone, con il Verdy Kawasaki, vince campionati e coppe, segna a ripetizione, viene eletto Calciatore asiatico dell’anno. E’ la consacrazione, il trampolino di lancio per la sua carriera internazionale.
Nel 1994 viene acquistato dal Genoa del patron Spinelli, partecipa alla serie A, che in quegli anni è il campionato più duro e competitivo al mondo, con giovani talenti come Totti e Del Piero che stanno emergendo. In Italia il suo arrivo è accolto da scetticismo, curiosità e un certo sarcasmo: Miura è un precursore, una novità, il primo giapponese a calcare i nostri campi, proviene da un paese senza rilevante tradizione calcistica, e sono ancora lontani i tempi dei vari Nakata, Nakamura, Nagatomo, Honda. Si trova davanti i difensori più forti al mondo, ha la concorrenza interna di attaccanti del calibro di Nappi e Skuhravy, gli episodi non gli sono favorevoli: un duro scontro di gioco con Franco Baresi gli procura una brutta frattura al volto; il Genoa ha un’annata particolarmente tribolata con l’avvicendamento di tre allenatori. E il dialogo non è certo agevole con uno di essi, l’indimenticato e vulcanico professor Franco Scoglio che, insofferente alle tanti pressioni mediatiche, dichiarò ad esperienza conclusa – come riportato dal sito jword.it – “Ebbi il mal di testa per mesi, ovunque spuntavano giapponesi, giornalisti, fotografi, cameramen. Impiegavo Miura a sprazzi perché non mi facevo condizionare dagli yen”. Kazu finisce ben presto per essere preso di mira anche dall’irriverente Gialappa’s Band che riferendosi a un suo tiro sbilenco col pallone finito in curva commenterà memorabilmente: «Non è che ha i piedi a mandorla?!».
Morale della favola: l’avventura di Miura nel Bel Paese dura solo un anno, con 21 presenze e una sola rete. Un gol però che, come tutte le cose fatte da Kazu, non è affatto banale e lo farà ricordare per sempre, in quanto realizzato durante un derby della Lanterna, la partita di gran lunga più sentita dai tifosi genoani: sponda di testa di Skuhravy, tocco morbido di Miura ad anticipare Zenga in uscita, vantaggio al quattordicesimo minuto per il Grifone che poi verrà superato in rimonta dalla Sampdoria con il risultato finale di 3-2 per i blucerchiati.
Dopo l’esperienza italiana, Miura torna a casa e riprende a vincere con il Verdy Kawasaki, conquistando la Coppa dell’Imperatore. Nel frattempo, è uno dei pilastri della Nazionale giapponese, che con i suoi gol trascina ai Mondiali francesi del 1998. Causa una flessione di rendimento e qualche incomprensione, il ct però non lo convoca per la fase finale della competizione. Una delusione cocente, che si accompagna a quella, ancora più beffarda, della mancata qualificazione ai Mondiali di USA 1994: nella partita decisiva a Doha contro l’Iraq, per superare in classifica nel girone unico a cinque Arabia Saudita e Corea del Sud, il Giappone deve centrare la vittoria.
Fino a pochi minuti dalla fine, la formazione nipponica allenata da Hans Ooft conduce per 2-1, con uno dei due gol segnati proprio da Miura, ed è virtualmente qualificata, ma a rovinare la festa arriva nei minuti conclusivi l’imprevista rete del pareggio di testa di Jaffar Omran Salman. 2-2 finale, il pareggio non basta, il sogno qualificazione svanisce, ai Mondiali vanno Arabia Saudita e Corea del Sud. Al fischio di chiusura i giocatori giapponesi crollano a terra per la disperazione, si materializza quella che passerà alla storia come “l’agonia di Doha”. In una carriera piena di successi, avventure, esperienze, mancherà la ciliegina sulla torta: Miura non conoscerà mai la soddisfazione di rappresentare il suo Paese in una fase finale di un Mondiale.
Dopo una nuova parentesi europea, a dire il vero poco significativa e redditizia, con la Dinamo Zagabria in Croazia, Miura agli occhi di tutti pare destinato all’inizio della fase discendente della sua carriera. Ma incredibilmente trova nuovi stimoli, continua a fare con successo ciò che ha sempre amato più di ogni altra cosa: giocare e fare gol. Prima a Kyoto, poi a Kobe. Infine allo Yokohama FC, che diventerà la sua comfort zone, il suo segreto di lunga vita, con il quale disputerà campionati di serie A e Serie B giapponese dal 2006 fino a oggi, inanellando record su record, guadagnandosi l’appellativo di “King Kazu”. La notizia dell’ennesimo rinnovo del contratto lo scorso gennaio ha fatto il giro del mondo e ha trovato spazio anche in un bellissimo servizio del TG1, a firma di Alessandro Marini.
Forse l’obiettivo di Miura è quello di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo da fuori quota, più probabilmente quello di conquistarsi la maglia da titolare del suo club più volte di quanto abbia fatto negli ultimi anni. L’unica cosa certa è che non ci meraviglieremmo nel continuare a vederlo nei prossimi anni indossare la maglia numero 11 dello Yokohama, continuando a firmare contratti annuali, come da tradizione, alle 11:11 dell’11 gennaio.
Sarà anche stato uno specialista del Drive Shot e del Twin Shot calciato in contemporanea a Tom Becker, ma neanche Oliver Tsubasa Hutton è stato capace di arrivare a tanto, firmare una carriera così unica e leggendaria.
P.S. Alla fine a Kazu voglio bene, anche se lo presi al fantacalcio.
Questo articolo di Angelo Spagnuolo, rielaborato per Panathlon Planet, è tratto dal blog di Overtime Festival, la Rassegna Nazionale del Racconto, dell’Etica e del Giornalismo Sportivo, che si svolge da dieci anni a Macerata nel mese di ottobre (https://overtimefestival.it/blog-overtime/)
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