-di Massimo Rosa–
La tanto usata parola “sport” deriva dal francese desport (diporto), definizione utilizzata dai sudditi di Luigi XVI per suggerire il modo di passare il tempo libero. In quei tempi essa indicava attività come il tiro con l’arco o l’equitazione. ai tempi dei greci venivano invece indicati così i giochi pubblici, spesso dedicati agli dei, come le Olimpiadi, mentre per i romani quel tempo libero era dedicato a vedere negli anfiteatri le lotte tra i gladiatori, o tra i gladiatori e le fiere, in cui il popolo spettatore era chiamato a decidere della vita o della morte di questo o quel gladiatore, alzando o capovolgendo il pollice.
Di questo ultimo aspetto ai giorni nostri resta la passione che si vive negli stadi, dove lo sport trova il suo spazio. È ovvio che oggi il pollice sù o giù ha un senso puramente simbolico giacché non si è più chiamati a decidere della vita o della morte di chi si affronta in campo, ma resta comunque il fatto che questa atavica usanza qualcuno la interpreta ai giorni nostri in maniera distorta.
Ci sono tre tipi di violenza negli stadi: quella del pubblico verso il pubblico, quella del pubblico verso il giudice di gara e quella del pubblico verso i protagonisti della partita. Ecco così uscire la violenza punitiva nei confronti dell’avversario: il fenomeno di certe curve violente nostrane od il fenomeno, fortunatamente ormai tramontato, dei terribili hooligans inglesi ed olandesi. Per questa tipologia di personaggi lo sport non ha alcun valore etico, bensì diviene violenza pura e semplice, il cui dogma è abbattere l’avversario, non certamente nel senso allegorico. La persona che veste colori diversi diviene dunque l’obiettivo da centrare, il nemico atteso un’intera settimana su cui sfogare il proprio ego macho.
Uno dei ricordi più terribili risale a quella serata di maggio del 1985 con i 39 morti italiani in occasione della finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles tra Juventus e Liverpool, match fatto disputare ugualmente dagli organizzatori della UEFA, in un’atmosfera surreale, per timore di altri e più violenti incidenti.
In una tabella apparsa sulla pubblicazione Sport, Etiche e Culture, edita dal Panathlon International, si legge di gravi incidenti di violenza tra la folla riportati nelle cronache:
Argentina (1968), partita River Plate – Boca Juniors: 74 morti e 150 feriti;
Brasile (1982), partita San Luis – Fortaleza: 3 morti e 25 feriti;
Colombia (1982), partita Deportivo Calì – Club Argentina: 22 morti e 200 feriti;
Perù (1964), partita Perù – Argentina: 328 morti e 5000 feriti;
Turchia (1964), partita Kyseri – Sivas: 44 morti e 600 feriti;
URSS (1982), partita Spartak Mosca – Harem: 69 morti e 100 feriti.
Per fortuna c’è però da dire che non tutti gli sport da stadio alimentano questa distorta passione, come ad esempio il gioco del rugby dove il fair play trova la sua massima espressione.
Infatti, mentre il pubblico delle due parti sostiene i propri beniamini con canti e slogan, mai rivolti però contro l’avversario, i giocatori in campo se le danno di santa ragione, sempre comunque nel rispetto dell’avversario, poi, una volta terminato l’incontro, si stringono la mano da veri sportivi, ritrovandosi più tardi a cena, rigorosamente vestiti con lo smoking, dove tra battute, canti e birre, disputano il cosiddetto “ Terzo tempo “.
Ecco il fair play dovrebbe essere quel comportamento da tenere sempre e comunque durante lo svolgimento di una competizione agonistica, anche se la pratica sportiva richiede alle volte dei comportamenti ruvidi: non importa, ciò che è invece basilare è il rispetto dell’avversario, soprattutto quando questo sta soccombendo.
L’esempio del rugby è dunque la testimonianza di come lo sport deve essere praticato, e come questo deve essere interpretato e sostenuto dai supporter, cioè tifando per la propria squadra e non contro gli avversari.
I valori dello sport, ed il comportamento della sua pratica, sono elementi fondamentali per la crescita dell’individuo in ogni sua accezione spirituale e fisica.
Ed allora lo sport è gioco, è festa, è incontro, è partecipazione, è impegno, è scelta di gratuità, dono, solidarietà, è finanche modo di rendere grazie a Dio per il dono della vita, per esaltare e glorificare Dio attraverso il nostro corpo.
In parole povere, lo sport è vita. Basta crederci.
.