Notti in bianco per Matteo Contessa per vivere in diretta TV le imprese di Luna Rossa, impegnata ad Auckland nelle regate di qualificazione di Prada Cup per accedere all’America’s Cup.
Oggi, nell’intervista ad Alberto Leghissa, vi racconta tutto sulle barche e sui supermen dell’equipaggio.
“Col vento in poppa“
Rubrica di Matteo Contessa
Magic si è chiamato fuori per rimettere a posto la barca danneggiata dopo il tentato decollo con successivo semi-affondamento di domenica scorsa (v.video), i restanti due Round Robin della Prada Cup diventano altrettanti faccia a faccia fra il team italiano e quello inglese Ineos UK per decidere chi andrà direttamente in finale e chi dovrà disputare le semifinali contro gli americani. Battendo gli inglesi in entrambe le regate Luna Rossa li raggiungerebbe a quota 4 e così li scavalcherebbe, perché il regolamento dice che in caso di ex aequo, passa chi ha vinto l’ultima regata.
American Magic, dal canto suo, ha una settimana in tutto per rimettere in acqua la sua Patriot che oggi ha la chiglia sfondata nella zona anteriore. Due le ipotesi avanzate dagli yankees: o rimettere lo scafo nello stampo e ricostruirlo per chiudere la grande falla quadrata che si è aperta, oppure fare un lavoro di collage, tagliando via la prua danneggiata e sostituendola con quella della barca da allenamento, Alberto a sua volta da recidere. Un intervento di alta chirurgia nautica, vedremo.
I sei match races dello scorso weekend, oltre a capovolgere i pronostici, hanno comunque dato alcuni elementi di valutazione. Il primo, fondamentale: le tre barche sono ancora in maschera, i team stanno usando questa fase eliminatoria, nella quale in realtà nessuno viene eliminato, per sperimentare. Cosa, di preciso? Ci viene in soccorso Alberto Leghissa (nella foto), un esperto campione di vela triestino. Con tre titoli Mondiali, tre Europei, quattro Italiani e uno Mediterraneo vinti nella vela d’altura, Leghissa è attualmente skipper e timoniere di Anywave Safilens, una barca da regata pura lunga circa 20 metri, più o meno le stesse dimensioni degli AC75 che stanno competendo ad Auckland. “E’ chiaro che le armi migliori ognuno se le tiene per i momenti decisivi. Adesso contano le manovre, le tattiche di regata, gli assetti scelti per le barche. Su questo stanno lavorando ora gli equipaggi”.
E nelle fasi calde quali sorprese o novità verranno estratte dal cilindro? “Vedo margini di crescita soprattutto nelle vele, credo che per le finali ne vedremo di nuove, qualche profilo cambierà. L’albero quello è e quello resta, a meno che malauguratamente non si danneggi, per scafi e appendici ci sono poche possibilità di modifiche. Resta dunque la veleria il settore che può maggiormente evolversi”.
American Magic sta messa come sappiamo, Ineos UK dopo essere stata un cuscinetto nelle World Series prenatalizie è diventata improvvisamente imbattibile e Luna Rossa sta nel mezzo. Come legge la situazione? “Prima della disavventura di Patriot, credo che la competitività di tutte e tre le barche fosse ancora un po’ celata, anche se Ineos UK potrebbe aver bruciato quasi tutte le energie per colmare il gap che accusava prima di Natale, conservando quindi meno margini di sviluppo a disposizione. Ora, salvo il fatto che American Magic diventa un punto interrogativo, vedo Luna Rossa molto consistente, in grado di vincere le regate con ogni condizione. Ma deve affinare la strategia e la pianificazione di regata in base alle condizioni meteo. Mi pare che comunque abbia ancora margini di crescita”.
Come era accaduto con i catamarani della scorsa edizione di America’s Cup, così anche questi monoscafi volanti hanno aperto il dibattito fra favorevoli e contrari per questa evoluzione così estrema della vela. Perché questi sono mostri ad alto rischio (come American Magic ha mostrato chiaramente domenica scorsa) che hanno bisogno di atleti bionici super allenati per essere governati, mentre il velista da diporto va in barca per divertirsi senza troppa fatica; e perché non si sa quanto e cosa di questi prototipi estremizzati potrà essere poi trasferito, nella produzione di serie e in quanto tempo.
Parliamo dell’equipaggio, ad esempio. Undici uomini in tutto per governare razzi marini da 21/22 metri di lunghezza: meno numeri e meno ruoli rispetto a una pari lunghezza tradizionale. “E’ sparito il prodiere, senza gennaker e spinnaker e con vele di prua piccole e fisse, non serve più – spiega Leghissa -. Uno dei grinder farà anche il trimmer del fiocco. E a ruota, sono spariti ovviamente anche i tailer. Il ruolo più importante su queste barche è invece quello del pilot, il responsabile del volo e quindi dell’assetto della barca. Restano il timoniere (Luna Rossa ne ha due, ndr) e il tattico-navigatore. E poi ci sono gli uomini di fatica, che ruotando in continuazione i grinder, alimentano il sistema idraulico che fa funzionare tutto: dai pistoni per i foil (le appendici esterne, ndr), ai motori per governare la randa, il fiocco, le volanti, i timoni. Meno ruoli chiave, insomma. Perlopiù servono uomini di forza”.
Ecco appunto, uomini di forza assoluta. Nella vela, finora, non era una priorità assoluta. Un po’ di forza sì, ma fondamentale erano le conoscenze di mare, tecnica di vela e meteorologia. Oggi invece ai grinder basta mettere la testa giù e pompare, dalla linea di partenza a quella di arrivo. Anche se in barca a vela non sono mai andati prima. “Beh, però un po’ di base di vela devono comunque averla tutti, in un team di Coppa America. Certo i grinder su queste barche sono atleti con muscolatura poderosa, forti ma anche resistenti, perché dall’inizio alla fine della regata devono essere lì a girare”. E dove si vanno a pescare, uomini così? “Ad esempio – chiarisce lo skipper triestino – ottimi sono i rugbisti, i canottieri, ma anche i ciclisti per fare girare i grinder con le gambe e non con le braccia, come si è visto sui catamarani della precedente edizione”. Tanto per dire: uno dei grinder di Luna Rossa è Romano Battisti, due Olimpiadi disputate come canottiere e argento nel due di coppia a Londra del 2012, oltre a 2 titoli iridati e 16 tricolori. E oggi gira le manovelle su una barca volante.
Quanto dell’evoluzione tecnologica di questi prototipi, invece, cosa troverà alloggio sulle barche da crociera e su quelle dei dilettanti domenicali? E quanto tempo ci vorrà? “Riguardo ai tempi, dipende dalla disponibilità economica del committente, perché a farla da padrone saranno i costi. Se uno ha un portafoglio particolarmente gonfio, potrà avere anche subito quasi tutte le innovazioni tecnologiche utilizzate in queste settimane ad Auckland. Penso che le prime a poterne usufruire saranno le barche da regata pura, già nel 2022 potremmo vederne in competizioni veliche importanti”. A conferma di queste parole arriva il progetto FlyingNikka, il Mini Maxi da 19 metri commissionato da Roberto Lacorte che proprio nel 2022 sarà pronto e che sarà dotato di foil di ultima generazione con cui volare sull’acqua a più di 40 nodi di velocità. “Ma c’è già anche chi sta pensando di produrre una barca tradizionale con foil esterni manovrati da motori e non manualmente, dunque senza bisogno di supermen a bordo. Ma di fondo resta una vela estrema e pericolosa, volare e scendere non è facile. Non vedo quindi futuro per questa tipologia di strumenti nella vela da diporto”.
Ciò che invece potrebbe derivare dall’America’s Cup sono gli studi innovativi sulle forze che lo scafo deve sostenere. E di conseguenza le innovazioni nelle tecniche costruttive o nell’uso evoluto e combinato di resine di nuova generazione. Quindi la ricerca al servizio delle barche da diporto. “Scafi costruiti in carbonio unidirezionale ad alto modulo, come quelli di Coppa America, ce ne sono già nella produzione di serie – afferma Alberto Leghissa – e di sicuro ritroveremo anche tutta la parte elettronica di bordo utile a gestire la barca in qualsiasi condizione. Non soltanto gli strumenti per le informazioni di navigazione come il Gps e i sensori, ma anche i sistemi per la gestione delle manovre. E infine, nel giro di un paio di anni anche i materiali velici potrebbero essere disponibili. Va sottolineata una cosa importante, però…”. Prego, sottolinei pure: “Le vele che si stanno usando in questa America’s Cup di fatto sono un sandwich di fibre di carbonio che vengono disposte in vari modi e tenute insieme da colle particolari oppure da poliestere ad alto modulo. Materiali più resistenti per renderle più rigide possibili ed evitare la deformazione che vorrebbe dire dissipazione di energia del vento e quindi minori prestazioni. Addirittura, le dimensioni dell’albero richiedono una doppia randa per minimizzarne le turbolenze. Ecco, issare su una barca ‘normale’ queste vele, oltre che molto costoso, sarebbe poco vantaggioso. Perché una buona parte delle loro potenzialità, in condizioni ordinarie, resterebbe del tutto inutilizzata”.
Le foto, i video, le caricature, i ritratti, presenti su PANATHLON PLANET sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, basterà segnalarlo alla Segreteria di redazione: segreteria.redazione@panathlondistrettoitalia.it, che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate, segnalando prontamente il nome del fotografo. Si ringrazia comunque l’autore.