IL BOICOTTAGGIO SENZA PRECEDENTI NELLA STORIA DELLO SPORT
Mercoledì 26 agosto è esploso il malcontento nel basket americano dopo il ferimento di Jacob Blake: i Bucks si sono rifiutati di affrontare i Magic, poi è arrivata l’ufficialità dello stop a tutte le tre gare della notte.
Nella “bolla” di Orlando non è così iniziata gara 5 dei playoff Nba tra i Milwaukee Bucks e gli Orlando Magic nella Eastern Conference: la formazione dei Bucks, in vantaggio per 3-1 nella serie, ha infatti boicottato il match per protesta dopo il grave ferimento dell’afroamericano Jacob Blake.
Il fatto fa seguito a quello più grave ed eclatante accaduto a Minneapolis il 25 maggio di quest’anno, quando durante un fermo della polizia della polizia morì soffocato George Floyd.
Come si ricorderà il fatto sconvolse il mondo intero e scatenò una vera e propria ondata di proteste e indignazione negli USA, al coro di “I can’t breathe” (“Non riesco a respirare”) e protestando simbolicamente e più volte in varie occasioni per la durata di 8’ e 46’’, il tempo che il poliziotto tenne il suo ginocchio premuto sul collo di George Floyd.
Già in quell’occasione i giocatori NBA si misero sul piede di guerra e minacciarono di non presentarsi nella “bolla” di Orlando per la ripresa e la conclusione del campionato.
Mercoledì 26 agosto nessun giocatore della squadra di Milwaukee è uscito dagli spogliatoi. I Magic sono invece regolarmente scesi sul parquet per il riscaldamento, ma a 3’56” dalla palla a due sono tornati anch’essi negli spogliatoi. La gara sarebbe dovuta iniziare alle 22, ora italiana. Intorno alle 23.10 poi la Nba ha ufficializzato il rinvio di tutte le tre gare della notte, in accordo con la Nbpa, il sindacato dei giocatori: non si sono quindi giocate anche la partita tra Oklahoma City Thunder e Houston Rockets e la sfida tra Los Angeles Lakers e Portland Trail Blazers.
LeBron James e tutti gli atleti di Lakers e Clippers, squadre favorite per il titolo, avevano guidato la fronda dei più duri, dicendosi pronti a chiudere qui la stagione dopo i 7 colpi di pistola sparati da un agente di polizia contro Jacob Blake, rimasto paralizzato, e il duplice omicidio di due manifestanti in Wisconsin. Prima di riprendere le partite, come anche in Wnba – i giocatori hanno chiesto garanzie alla lega e ai proprietari delle franchigie sul totale appoggio a quelle che saranno le loro iniziative per i diritti civili degli afroamericani.
I giocatori NBA in settimana hanno poi deciso che le gare sarebbero riprese e infatti nell’ultimo week-end si è ripreso a giocare ma anche che le azioni di protesta per il ferimento di Jacob Blake non si fermeranno.
Si e dunque ricominciato. Le squadre sono tornate ad allenarsi, i giocatori a lavorare in palestra per cercare di prepararsi al meglio. Ma non sarà più come prima. Niente potrà essere come prima dopo un boicottaggio che ha alzato i toni della protesta, l’ha portata ad un livello tale da darle eco mondiale, da convincere il resto dello sport Usa a fermarsi almeno per un giorno, a chiedere quello stesso cambiamento che i giocatori Nba hanno chiesto a gran voce da quando sono chiusi nella bolla.
La decisione è arrivata dopo una giornata in cui, come hanno più riprese spiegato i reporter statunitensi, la Nba è stata davvero a un passo dal chiudere definitivamente la stagione, riorganizzata tra mille difficoltà dopo la diffusione della pandemia.
Il ragionamento dei cestisti sulla necessità di proseguire ha seguito comunque una logica legata alla protesta: l’atto politico dei Milkwaukee Bucks è arrivato al culmine di un’escalation di tensione e ha acceso i riflettori sulle tante iniziative che dalla ripresa del campionato le squadre stavano portando avanti, avendo un’eco mondiale.
Chiudere tutto e proseguire in maniera individuale e slegata la protesta sul tema razziale avrebbe significato depotenziare il messaggio. Da qui – oltre che per ragioni economiche legate a stipendi e diritti tv in ballo – la decisione di ricomporre la situazione. Che non vuol dire stop alla battaglia, anzi. Il sindacato infatti tornerà a dialogare con i manager della lega e i proprietari dei club per assicurarsi il loro appoggio incondizionato a qualsiasi forma di protesta verrà portata davanti alle telecamere.
Il messaggio è dirompente, ora toccherà ai giocatori, già supportati dagli arbitri che hanno sfilato nel campus, amplificarlo di partita in partita continuando a toccare le corde giuste.
Il gesto dei cestisti contro gli eccessi razzisti della polizia statunitense è un “atto politico” mai visto. Che ha contagiato anche il tennis, il baseball e il calcio. Sullo sfondo l’attuale campagna presidenziale e la mai celata opposizione dei giocatori afroamericani a Donald Trump.
E la risposta di Donald Trump e del suo staff non si è fatta attendere.
“Non so molto della protesta, so che gli ascolti televisivi sono molto bassi perché francamente la gente è un po’ stufa della NBA” ha detto Trump in conferenza stampa. “Sono diventati come un’organizzazione politica e non è una cosa positiva”.
Ancora più pesante è stato l’attacco di Jared Kushner, consigliere di Trump e membro importantissimo del suo gruppo. “I giocatori NBA sono fortunati, perché hanno una posizione finanziaria tale da permettersi di astenersi dal lavoro senza conseguenze economiche, che è un bel lusso” ha detto commentando la storica protesta dei giocatori contro il razzismo e la violenza della polizia. “Nella NBA c’è molto attivismo e usano molti slogan, ma penso che si debbano lasciar perdere gli slogan e intraprendere azioni che risolvano il problema”. Kushner ha addirittura detto di volersi mettere in contatto con LeBron James — difficile che accada, visto quanto sono distanti le posizioni dei due — e che le proteste pacifiche “sono importanti, ma in questo momento bisogna spostare la rabbia della gente verso soluzioni costruttive”. Che è esattamente quello che i giocatori NBA stanno cercando di fare senza bisogno dei suggerimenti di Kushner, come già fatto ad esempio da LeBron James con il suo impegno per la I Promise School e tutte le altre iniziative dei giocatori, che con il loro attivismo hanno portato i proprietari della NBA a impegnarsi per 300 milioni di dollari sostenendo l’economia afro-americana. L’ex allenatore NBA e ora commentatore televisivo Stan Van Gundy ha commentato così le parole di Trump: “Quest’uomo pensa che gli ascolti siano più importanti delle persone e di qual è la cosa giusta da fare”.
Altra “grande” voce che si è fatta sentire in questi giorni è stata quella di Bill Russel.
La “leggenda” del basket NBA ex giocatore dei Boston Celtics, attraverso un post sul proprio profilo Twitter, si è dichiarato orgoglioso dei giocatori, capaci di prendere una decisione simile a quella messa in atto da lui stesso nel lontano 1961, quando si rifiutò di scendere in campo in una partita amichevole fra Celtics e St.Louis Hawks in segno di lotta al razzismo.
“Nel 1961 ho boicottato una partita amichevole, proprio come hanno fatto i giocatori NBA. Sono una delle poche persone che sanno quanto è difficile prendere decisioni del genere. Sono orgoglioso di questi ragazzi”.
Da qui alle elezioni di novembre, credo che fra Donald Trump e il mondo NBA ne vedremo delle belle!
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