-di Massimo Rosa-
C’era una volta un uomo minuto e di bassa statura, alto 1 metro e 59 centimetri, un’altezza adeguata ai tempi, magari più che ai tempi diremmo adeguata a quella di re Vittorio Emanuele III, poco più di un tappo, che imponeva il metro e sessanta ai giovani di leva per non sfigurare durante le parate militari. Misura rimasta in vigore almeno sino agli anni ’60, poi non si sa. Il suo è un nome leggendario, non perché vinse un’olimpiade ma perché la perse. Ma è lo stesso.
Divenne una leggenda della Maratona, quasi fosse stato lo storico inconsapevole padre della corsa,l’emodromo Filippide *: DORANDO PIETRI
Dorando Pietri, impropriamente chiamato Petri, era nato a Mandrio, piccola frazione del comune di Correggio (R.E.) nel 1885. La sua era una famiglia di contadini, che faceva fatica a fare quadrare i conti per i pasti mattina e sera, com’era d’altra parte comune a quei tempi. Il padre Desiderio decise allora di cambiare vita emigrando nella vicinissima Carpi, dove aprì un negozio di frutta e verdura.
Il nostro Dorando per contribuire alle entrate di famiglia ben presto si trovò un lavoro come garzone di una pasticceria. Il suo tempo libero, quel poco che aveva, lo dedicava alla bicicletta ed alla corsa, evidentemente era dotato di grande resistenza. La leggenda tramanda che il mingherlino ragazzo s’innamorò della corsa quando al paese giunse il più famoso podista italiano di quel tempo: Pericle Pagliani.
Era tanta la passione e la gioia di vedere il popolare atleta che si mise a corrergli dietro dalla partenza all’arrivo, vestito con gli abiti da lavoro. Praticamente, senza accorgersene, aveva tenuto lo stesso passo di corsa del Pericle nazionale. Questo bastò per essere notato dagli addetti ai lavori e per metterlo in strada qualche giorno dopo a Bologna, dove corse i 3.000 metri arrivando secondo.
Così di gara in gara conquista estimatori e vittorie. L’uomo è tosto e conscio dei propri mezzi fisici.
Nel 1905 arriva a Parigi, la città più d’ogni altra sognata da quella società di inizio secolo, dove storia, arte e belle donne si fondono in un unico soggetto, perché Paris c’est Paris, la ville Lumière, la città del piacere proibito (dai costumi morali dell’epoca). Il nostro Dorando però non vi arriva da gaudente, ma da piccolo carpigiano che partecipa alla maratona. I suoi agguerriti avversari non prestano attenzione al petit italien, perchè nessuno lo conosce. Lo conosceranno lungo i 42 chilometri del percorso, staccati ad uno ad uno come belle figurine. Così al traguardo le petit italien rifila sei minuti al secondo arrivato, il francese Bonheure.
E’ il primo mattone internazionale della sua carriera.
Capita di leggere, non si sa se sia leggenda oppure no, che Dorando sfida addirittura i cavalli in gare ad handicap, battendoli quasi fossero cristiani. D’altra parte ad uno che vince tanto la leggenda si addice più che mai.
Così giorno dopo giorno, vittoria dopo vittoria, il nostro eroe conquista la maglia per partecipare alle Olimpiadi di Londra del 1908.
Quel giorno, è il 24 luglio, il penultimo giorni dei Giochi, un venerdì caldo ed afoso, un clima non certamente ideale per chi deve macinare chilometri e dispendio di energie.
La Maratona sta per avere inizio.
Il luogo deputato è il piazzale antistante il castello di Windsor, il castello di re e regine sprofondato nella verde campagna della contea del Berkshire. I 55 atleti che di lì a pochi momenti si contenderanno l’alloro olimpico sono i fibrillazione, non vedono l’ora di correre. Il nervosismo lo palpi nell’aria.
Il classico percorso di 42 chilometri è stato allungato di 195 metri per esigenze regali, poiché il palco, sui cui sarebbero state ospitate le Loro Altezze reali all’arrivo, era stato posto oltre l’abituale distanza. Così, da allora, la Maratona si disputa sui 42 chilometri e 195 metri (26 miglia e 385 yard): la distanza regale.
Il Dorando indossa la maglietta bianca (non c’era ancora l’Azzurro) e pantaloncini scarlatti, sul petto porta il numero 19. Mancano che una manciata di secondi al via, ed il nostro atleta ancora non sa che sarebbe entrato nella leggenda della specialità per avere perso una Olimpiade vinta.
Alle 2.33 p.m. (English time), cioè le 13 e 33 nostre (fuso orario), lo starter (la principessa di Galles) dà il tanto atteso “Go”.
Gli inglesi Jack, Lord e Price tengono la testa sino al 14° miglio, poi di loro non si hanno più notizie. Dopo il terzetto British ecco andare in prima posizione il sudafricano Charles Hefferon, mentre si ritirava il favorito della gara l’inglese Tom Longboat. L’italiano, invece, preferisce fare una gara di attesa mimetizandosi tra il terzo ed il quarto posto. Al 18° miglio scatta però la sua offensiva. Il tamtam delle voci lo dà secondo alle spalle del sudafricano all’altezza di Wimbledon, dopo avere superato lo statunitense Johnny Hayes.
All’ultimo miglio il nostro atleta acchiappa Hefferon e lo supera di slancio. Sono le 5.18 p.m. (16.18 per l’Italia) quando l’uomo venuto da Carpi fa il suo ingresso nello stadio di Sheperd’s Bush, dove sono ad accoglierlo 75 mila persone, tra queste anche il giornalista Arthur Conan Doyle (il padre Sherlock Holmes). Molti a dire il vero non sanno chi sia quell’omino baffuto, qualcuno dice “Is an Italian”.
La sua andatura è scomposta e barcollante, le sue gambe mostrano vistosamente la sofferenza a sorreggerlo. Nella mente di Dorando c’è solo la nebbiosa immagine del traguardo da tagliare, quello che gli consegnerà l’oro olimpico. E’ un sogno o realtà ? E’ realtà. Non ce la fa più, stringe i denti sentendosi mancare. Cade, si rialza per quattro volte durante l’ultimo giro. Alla quinta, ad un passo dalla meta, lo speaker impietosito lo sorregge facendogli così tagliare il traguardo.
Ha vinto: no, no ha vinto. Vince il secondo arrivato, l’americano Hayes, dopo che gli Usa hanno ricorso contro la vittoria italiana. E’ la beffa del destino. Ma seppur perdente la notorietà è tutta per Dorando Pietri.
Il giorno dopo la regina Alexandra in persona gli consegnerà personalmente una coppa d’argento con su inciso:
“ To Pietri Dorando in Remembrance of the Marathon Pace from Windsor to the Stadium “. July.24.1908. Queen Alexandra
E così la sconfitta diventa la vittoria per entrare nella leggenda.
*Filippide, la persona che portò agli ateniesi la notizia della vittoria greca sui persiani, era di professione un emodromo, cioè un uomo capace di correre per un giorno intero.