-Franco Lauro, signore del microfono e delle telecamere-
di Gino Goti
La scomparsa di Franco Lauro è giunta improvvisa e imprevedibile dopo i suoi saluti pasquali e l’arrivederci alla settimana “prossima”. Se ne è andato da solo, nella sua casa a quanto mi dicono i colleghi. Una grande perdita per la RAI, per la redazione di Rai Sport, per le migliaia di sportivi e telespettatori che apprezzavano il suo stile, la sua signorilità, la sua professionalità. Qualità a me note perché con Franco ho lavorato per anni facendo la regia delle sue telecronache di basket sui palazzetti di tutta Italia, memorabili i ricordi del palasport di Bologna quando c’era il derby delle due squadre felsinee. Mi ha commosso il ricordo di Massimiliano Mascolo, un collega di RAI Sport sempre a stretto contatto con Franco, ricordo che ho condiviso sulle pagine del web e che l’amico Max mi ha autorizzato ad utilizzare: c’è tutto Franco in queste parole:
“Senti un po’ se va bene”. E cominciava a leggere quello che aveva scritto. Franco aveva sempre seguito certe regole del mestiere che non dovrebbero mai essere dimenticate, tipo quella di far ascoltare a un collega in redazione il testo del pezzo che aveva appena scritto. E spesso toccava a me. Mi concentravo sulla fluidità dei periodi, sulle possibili e fastidiose ripetizioni, sulle immagini che avrebbe potuto utilizzare. Credo che lui apprezzasse il fatto che, nove volte su dieci, gli dicevo sempre: io cambierei così. E magari di cambiare quel testo non c’era proprio bisogno. Ma a Franco piaceva il confronto, il dialogo, la discussione. Leggo di tanta gente che oggi lo ricorda e che piange un personaggio tv che non se la tirava e anzi, del contatto umano, aveva un tremendo bisogno. Ed è morto da solo. Se aveva idee diverse dalle tue, sapeva sostenere le sue tesi con dovizia di argomenti, e non solo nello sport: ma lasciava anche spazio alle repliche. L’unica cosa su cui non derogava era l’amore per la sua Azienda, quella Rai a cui si era consacrato molto giovane e che aveva servito con grande orgoglio e – vogliamo dirlo una buona volta? – anche con ottimi risultati. Perché in queste ore in tanti si stanno accorgendo che certe telecronache di basket sapevano coinvolgere anche gli spettatori distratti, che quel lasciare al centro del racconto le emozioni era una scelta corretta, che nel parlare di calcio (sport al quale si era dedicato con tanta voglia di imparare) va bene la tattica, ma a casa vorrebbero sentire anche qualcosa di diverso dalle diagonali difensive: allora meglio la grande fiera dei sogni del calciomercato.
Se “fuori”, in questi giorni già spiazzanti per evidenti motivi, tanta gente si sente ancor più spaesata nel dover dire improvvisamente addio a un volto amico e sorridente, noi che stiamo “dentro” ci accorgiamo di tenere tutti, nel ripostiglio dei ricordi più preziosi, qualcosa che è legato alla figura di Franco. Una gentilezza, una telefonata, un abbraccio, una chiacchierata privata. L’ho visto spuntare nelle ultime file in chiesa al funerale di mio padre, a ferragosto, e ancora, più di recente, venire a portarmi dei ritagli di un giornale locale dove si parlava di non so quale piccola manifestazione dove ero stato presente. I ritagli di giornale, una delle sue piccole innocenti manie: lo abbiamo preso in giro tante volte, ma il bello è che li leggeva, tutti, e se lo “interrogavi” sapeva risponderti a tono. E poi la valutazione dei dati d’ascolto, un altro suo pallino. E l’eleganza, sobria e impeccabile: mai avrebbe tradito giacca e cravatta, conscio che stava entrando nelle case dei telespettatori e non poteva farlo in maniera chiassosa o peggio ancora becera. Pochissime volte, in trasferte a quaranta gradi all’ombra, poteva per qualche ora concedersi il sollievo di una polo a maniche corte, purché avesse stampato il logo della sua RAI, un marchio che indossava con baldanza e compostezza insieme. L’orgoglio del brand, il peso della tradizione.
“Senti un po’ se va bene”. Non va bene per niente, Franco. Ci molli così in un momento incerto e crudele, e non possiamo restituirti quelle carezze che ci hai allungato, sia pure a modo tuo. Hai lasciato una eredità, neanche tanto piccola, di stile e di attaccamento ai colori sociali. Non so se siamo in tempo per trovare chi possa raccoglierla.”
Ma oltre a Massimiliano tutti, proprio tutti i colleghi, hanno avuto parole e ricordi di Franco. Ne citiamo alcuni, alla rinfusa, i primi che ci tornano alla mente dopo una rapida scorsa: De Cleva, Lollobrigida, Severini, Simona Ventura, Mancini, Biasin, Raffa, Paris, Cerqueti, Beccantini, Sibilia, Zazzaroni, Canuti, Paganini, Condò, Cucchi, Piccinini, Scarnati…….
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