-Abbiamo preso a prestito la celebre frase di Tomasi di Lampedusa per chiederci “Cosa si nasconde dietro il male che affligge sempre più lo sport moderno?” Ce lo spiega in un’intervista fatta nel 2013 a Romano Mattè, ex allenatore in passato ed anche Ct di Mali e Indonesia, sempre di immutata attualità.
di Massimo Rosa
Cosa si nasconde dietro il male che affligge sempre più lo sport moderno? Ce lo spiega in un’intervista fatta nel 2013 a Romano Mattè, ex allenatore in passato anche Ct di Mali e Indonesia,. La persona che ho di fronte – e che sto per intervistare su un argomento tosto come il doping – fa della sua probità la bandiera della propria vita. Un uomo del mondo del calcio che ha girovagato per l’Italia, prima come allenatore, quindi come osservatore di Sampdoria e Juventus, e quindi ancora come CT della nazionale indonesiana e di quella del Mali, dove ha raggiunto risultati prestigiosi.
Un uomo che non ha accettato e non accetta compromessi di alcuna sorta, poiché tutto deve essere alla luce del sole secondo i principi di lealtà, e che può andare a testa alta ovunque. Ed è per questo motivo che il nostro personaggio non ha potuto ambire a posizioni ancor più prestigiose nel mondo del calcio italiano: troppo scomodo averlo intorno.
Questo signore, che fa dell’etica la sua bandiera, è pronto a raccontare, e quindi a denunciare, a Panathlon Planet tutto l’immondo backstage dello sport dopato. Il suo nome è Romano Mattè. L’intervista che segue è come un fiume in piena che sta per straripare, un fiume pericoloso pronto a travolgere tutto e tutti causa quel fenomeno negativo che si chiama doping.
Panathlon Planet – Si parla spesso di doping, ci vuole dire qualcosa di più preciso?
Romano Mattè – Partirei innanzitutto dalla tipologia, che gli addetti ai lavori conoscono bene, meno bene o ignorano del tutto le persone comuni. Il doping si può catalogare in farmacologico ed in genico. Il primo si avvale di sostanze chimiche mentre il secondo utilizza i geni a sostituzione dei farmaci. L’uno e l’altro alterano l’essere umano migliorandone le prestazioni da sforzo, se usato fraudolentemente come nello sport. C’è però anche la versione positiva, cioè il trattamento genico ad uso terapeutico in individui con tare genetiche, come stanno dimostrando alcuni esperimenti negli Usa, che stanno dando ottimi risultati.
PP – Quali sono le differenze tra i due doping?
RM – Quello farmacologico rilascia tracce l’altro no. Ed proprio su quest’ultimo che si spalanca l’abisso su cui balla lo sport e su cui è estremamente difficile indagare.
PP – Dunque non ci sono speranze?
RM – Allo stato attuale si brancola nel buio, anche se c’è da dire che il prof. Mauro Giacca, che dirige il laboratorio Icgeb, riconosciuto sia dall’Onu che dalla Wasa, sta lavorando su una ipotesi.
PP – Quale?
RM – Sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo, che il doping genetico rilasci nell’atleta sottoposto a sforzo tracce di Dna nel sangue.
PP – Una speranza per individuarlo dunque esiste
RM – Sì. E’ comunque auspicabile che i risultati possano anticipare le prossime Olimpiadi. Se questa ipotesi dovesse fallire non esisterebbe alcun test probante in grado di smascherare il doping genico.
PP – Torniamo a quello farmacologico.
RM – Le sostanze dopanti sono tantissime. Prendiamo ad esempio il metiltrianolone (steroide anabolizzante di elevatissima potenza, ndr) che fu usato alle Olimpiadi di Pechino da diversi pesisti della nazionale greca di sollevamento pesi, poi squalificati. È una sostanza che viene usata nei cavalli per aumentarne le performance. Cito un altro esempio: il betametasone (contenuto nel Bentelan usato comunemente nei trattamenti antinfiammatori, ndr) che interviene sul metabolismo degli zuccheri ed è fonte di energia muscolare.
PP – Veniamo all’EPO, il doping più celebre fra tutti
RM – L’EPO è un ormone secreto dal fegato e dalle ghiandole surrenali in grado di aumentare l’ossigeno nel sangue e di conseguenza la produzione di nuovi globuli rossi. Questa la sua funzione fisiologica. In terapia è usato negli ospedali nei casi gravi di perdite di sangue ed in quelli di anemie acute. Nello sport è utilizzato al fine di aumentare la resistenza muscolare e, quindi, la resistenza fisica alla fatica. Dell’EPO abbiamo una famiglia di prima, seconda, terza e quarta generazione. Con le ultime generazioni si è fatto un salto di qualità di durata, cioè oggi con 1.000 € si compra il Sera, EPO di terza, l’atleta (presunto tale) se lo inietta con una siringa da insulina e l’effetto inizierà 15 giorni dopo. Così la durata sarà di una ventina di giorni, tempo di portare a termine un Giro d’Italia o un Tour. E’ finita dunque l’era di tutti quei camper che stazionavano nelle vicinanze dei ciclisti al cui interno si trovavano enormi quantità di farmaci.
PP – Quando nasce il problema del doping in Italia?
RM – Siamo intorno agli anni ’60, proprio in quel tempo il prof. Sergio Zanon, DT della nazionale di lancio e del peso e del disco, dopo avere studiato a lungo la rmetodologia degli atleti dell’URSS, l’applica ai nostri atleti: ma i risultati sono deludenti. Qual’era il segreto inconfessabile ed inconfessato della metodologia vincente dei campioni d’Oltrecortina? Era solamente il doping (oggi ovviamente è il segreto di Pulcinella, ndr).
PP – C’è un ricordo che è meglio scordare?
RM – Sì. In quel tempo il Coni pubblicò un opuscolo in cui s’incoraggiava l’uso del doping, la cui prefazione fu scritta da un illustre personaggio politico: l’onorevole Giulio Andreotti, allora ministro dello sport, spettacolo e turismo.
Il prof. Sergio Zanon, alla domanda del vicedirettore del Gazzettino “cosa dobbiamo fare delle sue pubblicazioni”, rispose:” Chiedo perdono a tutti, bruciateli”. Il professore, dopo la sua crisi, definì la legge antidoping una farsa perché pretende di combattere ufficialmente il doping, in realtà lo legalizza fissando gli attuali massimi.
PP – Cosa vuole dire?
RM – Vuole dire che i limiti fissati sul piano fisiologico sono aberranti, e mi spiego. Essi sono due: il primo riguarda l’ematocrito con indice 50. Gli addetti ai lavori sanno benissimo che allenandosi in altura, dove l’ematocrito aumenta di 3 punti, non supera mai gli indici di 44/46. Fissarlo a 50 vuole dire avere marmellata al posto del sangue, dunque il rischio embolia diviene altissimo.
Nell’altro caso, quello del catabolita del nandrolone, padre degli steroidi anabolizzanti, l’indice fissato è 2 nanogrammi. E’ noto, invece, che il suo valore deve oscillare mediamente tra 0.4/0.6. Fissarlo a tale limite significa che siamo ad un plus del 400% se ci si riferisce allo 0.4, del 600% a quello dello 0.6.
PP – La grande occasione persa?
RM – Quella di Madrid, cioè la conclusione dell’Operacion Puerto. Nell’aula 21 del tribunale penale della capitale spagnola si trovavano 206 sacche sequestrate di EPO, tutte avevano un nome e cognome di atleti iberici delle diverse discipline. Ce ne sono però 99 non individuate, di queste il dott. Fuentes chiede di potere procedere all’identificazione. Breve consultazione della presidente del tribunale e quindi la risposta. “Non stiamo facendo un processo al doping, ma a lei che ha attentato alla salute pubblica”. Mormorio di delusione in aula perché con quell’affermazione si è evitato di fatto di fare piena luce sul supermarket del doping iberico.
PP – Cosa ci può dire del caso Armstrong?
RM – Contemporaneamente all’Operacion Puerto esplode il caso Armstrong. L’agente Nowinsky dell’Usada (l’agenzia antidoping Usa, ndr) indaga sul plurivincitore del Tour de France. L’operazione però parte dall’Italia, cioè dalla Procura di Padova diretta dal pm Benedetto Roberti, che da due anni sta investigando nel silenzio più totale per timore di fughe: non ne sapevano alcunché né il Coni né la Wada (acronimo di World Anti Doping Agency, ndr). All’inchiesta collabora anche la Guardia di Finanza padovana che decripta tutte le mail mandate dal clan di Armstrong al prof. Michele Ferrari, che è il guru del doping italiano, sospeso dall’albo medico. Vengono scoperti così tutti i bonifici bancari inviati da una banca di Locarno dal clan al prof. Ferrari per 465.000$. Di fronte a questi risultati Nowinsky riapre il caso Armstrong, formulando 5 capi d’accusa, il più grave di questi è associazione a delinquere. Crolla a questo punto il muro di omertà grazie anche alle dichiarazioni dell’ex gregario Teryl Hamilton che parla di ricatti, stalking e minacce se non avesse fatto ricorso al doping. Racconta di essersi piegato all’uso delle sostanze dopanti prima del Giro di Svizzera del 2001 con il test del Monzuno (una salita di 4 km al 9% di pendenza, ndr) voluto dal prof. Ferrari. I ciclisti, dopo avere assunto il doping, s’inerpicano sulla salita con ottimo successo. Addirittura Hamilton supera il proprio capitano. E da lì parte la paranoia di questo clan. Ian Ulrich, il campione tedesco, vola addirittura in Sudafrica per testare il sangue sintetico, test che però fallisce.
PP – In conclusione c’è veramente la volontà politica di andare sino in fondo?
RM – Il ciclismo non ha coperture politiche e lo si sta sbranando. Il calcio, invece, coinvolge un tale volume di interessi indotti spaventoso elevando un tale muro impenetrabile, superiore a quello che abitualmente mafia e camorra sono in grado di alzare. Michel Platini, invece di preoccuparsi del Fair Play amministrativo, dovrebbe preoccuparsi di quello etico andando sino in fondo.
Qui termina la nostra intervista con Romano Mattè che Panathlon Planet ringrazia per la disponibilità concessaci. In conclusione la volontà politica sembra alquanto messa in discussione. Ovviamente gli interessi economici sono enormi, ed i giochi non posso che andare per un certo verso.
05 agosto 2013
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