
Per chi lo ha conosciuto e per il pubblico che l’ha amato sono i giorni del dolore. Il gigante gentiluomo ci ha lasciati. Lo ha fatto alla sua maniera, in punta di piedi.
. Da mesi il suo cellulare era muto. Bruno non voleva intristire nessuno di noi amici e colleghi, rivelando che, tormentato dagli acciacchi, era costretto a fare la spola tra la casa di Cormons e l’ospedale civile di Gorizia, dove si è spento nella notte tra martedì e mercoledì. Può sembrare banale ma è così : schiacciati dal peso di una tristezza immensa, ci sentiamo tutti orfani. Siamo cresciuti apprezzando in ogni occasione il garbo, la competenza, l’etica, la sobrietà, la professionalità, soprattutto la sua umanità. Al punto da dire oggi, che, grazie al suo esempio, è rimasto un pò di Pizzul in tutti noi. La sua cavalcata professionale, non è tutta nelle cifre che pure sono indicative (nove campionati del mondo ed altrettanti europei, duemila telecronache, infinite conduzioni di programmi sportivi). Dietro il microfono c’è stato sempre un uomo dallo stile esemplare, che non ha raccontato solo le notti magiche di Italia ’90 o la finale di Los Angeles del 1994 persa ai rigori contro il Brasile, ma ha insegnato a tutti come si può diventare una icona commentando il calcio senza gli eccessi di oggi. In una occasione mi rivelò come aveva vissuto il dramma dello stadio Heysel in quella maledetta notte del maggio ’85 : “Ebbi subito l’impressione che fosse avvenuta qualcosa di grave, ma bisognava usare prudenza e mantere la freddezza neessaria per la verifica delle notizie. Tra le regole deontologiche c’è sempre quella di non annunciare una morte se i familiari della vittima non sono già stati avvertiti. I morti furono trentanove. Ad un certo punto lasciai la postazione per raccoagliere qualche informazione al piano di sotto. Aprii una porta e vidi che stavano ammassando alcuni corpi senza vita. Terribile. L’Uefa decise che quella finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool si doveva comunque giocare. Fu difficile mantenere la calma e lavorare in un clima surreale. Da inviati incaricati di commentare un evento sportivo tutti noi fummo costretti a parlare da un luogo di tragedia e di morte”. Tanti i ricordi personali. Ai mondiali del ’94 negli Stati Uniti, viaggiammo insieme per commentare una partita in calendario a Washington (lui per la Tv io per la Radio). Quando il volo della Delta Airlines stava per completare la manovra di atterraggio, mi invitò a guardare dal vetro del finestrino. Era una serata dal clima limpido con cielo stellato e visibilità perfetta. Spettacolo affascinante : stavamo sorvolando la Pennsylvania Avenue lungo la quale sorge la Casa Bianca , che ci apparve nella sua splendida architettura neoclassica. Bruno da uomo del nord ha sempre amato il sud. Per venti anni è stato il presidente di giuria del prestioso premio sportivo di Capo Vaticano, al punto di meritare la cittadinanza onoraria da parte del comune di Ricadi.

Rimase sorpreso per la calorosa accoglienza riservata dal pubblico di Reggio Calabria alla nazionale azzurra in occasione dell’amichevole contro il Portogallo dell’aprile del 2000. La sottolineò calorosamente in diretta e me ne parlò anche a microfono spento. Un intreccio di combinazioni diede una sterzata alla sua vita. Cresciuto nella scuola parrocchiale di Don Rino Coccolin, Pizzul non pensava di fare il giornalista. Lo diventò per caso. Dopo aver praticato calcio con le maglie del Catania, dell’Ischia e della Pro Gorizia (dovette smettere per un infortunio al ginocchio) prese la laurea in legge e cominciò a insegnare nelle scuole medie. La Rai di Trieste bandì nel 1968 un concorso per programmisti, e , dopo il primo round andato deserto, inviò una lettera a tutti i laureati della zona. Di fronte alla proposta lui era perplesso. Fu la moglie Maria a convincerlo a presentarsi. Nella commissione c’era Paolo Valenti. Forse per non dirgli apertamente che non sembrava indicato per quel lavoro, gli suggerirono : “c’è a breve un concorso per telecronisti, non si arrenda”. Ci provò, vinse la selezione e fu subito assunto. Tra le sue passioni, gli undici nipotini, le partite a scopa e a tressette al circolo ricreativo, la bicicletta e il Friuli che gli ha dato i natali. Ricordiamo infine che se Carosio è stato lo sponsor eccezionale di tante case produttrici di wisky, Bruno era diventato l’ambasciatore del buon vino friulano e scherzando diceva : ” non sono un esperto, diciamo che mi piace curiosare nei vigneti e nelle aziende. Il vino è paesaggio, è cultura del territorio e rapporto con la gente”.

Mille ricordi e tante ragioni per affermare che la leggenda di Pizzul non si conclude qui. La sua voce entrata per tanti anni nelle nostre case, adesso è entrata nella storia e riecheggerà per l’eternità. Chiudendo gli occhi, ci sembreraà di ascoltare le sue telecronache che erano autentiche opere d’arte. E le opere d’arte sono come i campioni senza tempo. Vivono anche dopo morte degli autori.
Foto – 1) Mondiali del 2002 in Giappone e Corea : Bruno Pizzul con Tonino Raffa. al centro Giacomo Bulgarelli
Foto 2 e 3 – Pizzul e Raffa alla presentazione del libro “Il Pallone nell’Iride” (storia dei mondiali – Svoltasi a a Reggio Calabria nel maggio 2006