
di Mirko Rimessi – Redazione Ferrara
Ho seguito in religioso silenzio la magnifica esperienza dei Giochi Mondiali Invernali Special Olympics, i “Giochi Olimpici” per persone con disabilità intellettive che, per la prima volta, in assoluto tra formula estiva ed invernale, sono stati organizzati in Italia, a Torino e nelle aree limitrofe, con ampio coinvolgimento di tutto il territorio nazionale grazie al viaggio della Fiamma della Speranza.
L’ho fatto, come detto, in religioso silenzio (eccezion fatta per un riferimento in un post sul presidente argentino Milei, che ha riportato in uso ufficialmente le parole “idiota”, “imbecille” e “ritardato” per definire persone con disabilità intellettiva e relazionale), perché volevo capire il ruolo che la comunicazione avrebbe giocato in questo importantissimo evento di caratura mondiale, perché come spesso ho modo di dire quando parlo di sport paralimpico “lo sport per persone con disabilità è anche un mezzo di affermazione culturale”.
Purtroppo, ma non mi aspettavo molto di più, l’impressione è quella di una occasione persa, almeno in parte, con una narrazione molto limitata e nella quale il fattore agonistico (che c’era ed era fondamentale nel racconto) è stato quasi completamente escluso. Eppure, va detto, la Politica ha fatto bene il suo lavoro, con il Ministro Abodi molto presente e autore di importanti discorsi “abbiamo imparato molto frequentandovi, vivendo le vostre emozioni, le vostre speranze e condividendo i vostri sorrisi. Il futuro è domani perché dobbiamo dimostrare di aver capito il significato di questi meravigliosi Giochi”.
Questo tipo di disabilità fa più paura? è ancora un tabù parlarne? È ancor più stereotipata rispetto a quella fisico-sensoriale? Vede i suoi attori meno “protagonisti”? Mille i motivi sui quali riflettere, pur consci di una storia che nasce comunque dopo rispetto a quella dello sport per atleti con altre disabilità.
Il punto centrale, però, è sempre culturale con tutti, nessuno escluso, i protagonisti del mondo dello sport, dai vertici alla base, a doverci credere, sviluppare e promuovere queste attività e la loro conoscenza perché, se si aspetta (e si subisce) che, su questa come per altre questioni, ad affrontarla siano altri, si fa un torto alla propria competenza e professionalità.