di Claudio Beccalossi – Redazione Panathlon Verona
Roma – Insiste ancora sui social il clou dell’intervento di Urbano Cairo (Roberto Agostino, Masio, Alessandria, 21 maggio 1957) durante l’incontro “Coltivare giovani talenti. La via italiana per la riforma del calcio”, svoltosi il 14 dicembre scorso nell’ambito di Atreju, kermesse di Fratelli d’Italia al Circo Massimo.
Editore, dirigente sportivo e d’azienda, presidente (oggi alquanto contestato dai tifosi per le zoppicanti prestazioni in serie A) del Torino Football Club, di Cairo Communication e di RCS MediaGroup (dove è pure amministratore delegato), Cairo ha partecipato volentieri al dibattito in Sala “Marco Polo”, moderato dalla giornalista Giusy Meloni (dalla parentela assente con l’omonima di Palazzo Chigi) ed introdotto da Paolo Marcheschi (senatore e responsabile del Dipartimento Sport di Fratelli d’Italia).
Oltre a lui, hanno preso la parola Andrea Abodi (ministro per lo Sport e i Giovani nel governo Meloni), Paolo Scaroni (presidente dell’A.C. Milan), Giancarlo Abete (presidente della Lega Nazionale Dilettanti), Federica Cappelletti (presidente del Calcio Femminile, moglie for ever di Paolo Rossi, l’indimenticato Pablito nazionale), Stefano Azzi (CEO, Chief Executive Officer, cioè amministratore delegato, di Dazn).
Il ragionamento di Cairo s’è soffermato soprattutto su questioni economiche del pianeta calcio, diritti televisivi, pirateria e betting (scommesse) compresi.
«In Italia si sono persi negli ultimi cinque anni, mediamente, 5 miliardi, uno all’anno (complice ovviamente anche il Covid-19), creando una situazione di grande sbilancio tra costi e ricavi. – ha rimarcato l’imprenditore – Il Regno Unito è il Paese dove il calcio ha raggiunto livelli di fatturato incredibili, 4 miliardi abbondanti dai diritti televisivi domestici, internazionali e, poi, tutto il resto, con 8 miliardi e 200 milioni di ricavi. Questo è un mondo in cui, da quando sono arrivati i diritti televisivi, tutti i ricavi sono cresciuti moltissimo ma i costi sono aumentati ben più velocemente».
«Allora. Sicuramente noi dobbiamo, da una parte, cercare ovviamente di sviluppare i ricavi – s’è espresso Cairo – e dall’altra intervenire sulla pirateria che è sicuramente una cosa indebita molto grave, che toglie al settore qualcosa come 3-400 milioni. Il tema del betting, poi. L’abbiamo detto in tutte le salse. Credo che sia abbastanza assurdo che l’unico Paese sia l’Italia dove non è possibile interferire in nessun modo, né direttamente e né indirettamente, sulle agenzie di betting che, peraltro, prosperano in maniera incredibile con 14 miliardi e 800 milioni di scommesse in Italia ed addirittura con 35 miliardi nel mondo su partite italiane. Numeri veramente pazzeschi».
«E, quindi, il tema della crescita, il fatto che noi, come dire, che i calciatori e gli allenatori siano gli unici soggetti impossibilitati ad aderire o, meglio, per i quali le società non possono aderire a quel vantaggio che è dato ad ogni lavoratore, cioè alla misura che tutti quanti vivono all’estero e arrivano in Italia hanno come vantaggio fiscale».
foto Claudio Beccalossi