Di Andrea Ceccotti – Comunicazione Area12 FVG
Il 1° febbraio del 1972 a Portland, in Oregon, è in programma una partita di NBA tra i Trail Blazers e i Phoenix Suns. Al momento dell’esecuzione dell’inno nazionale però, un giocatore dei Blazers, Charles “Charlie” Yelverton, si mette a sedere: un gesto rivoluzionario, scelto per opporsi al razzismo che ancora è radicato nella Lega di basket più importante del mondo, per protestare contro la guerra in Vietnam e contro le promesse mancate del presidente Nixon. Una scelta che gli costò l’ostracismo della lega e che lo costrinse ad emigrare in Europa.
La prima squadra in cui militò in Europa fu l’Olympiacos di Atene ma un colpo di stato in Grecia lo costrinse a tornare a New York, dove per sbarcare il lunario si reinventò tassista.
Alla fine a benficiare di quanto avvenne in Oregon, qualche tempo dopo, sarà la Pallacanestro Varese. Perchè Yelverton dopo mesi di inattività venne a giocare proprio nella Città Giardino per sostituire il leggendario Manuel Raga e contribuì a far vincere la Coppa dei Campioni del 1975 e lo scudetto del 1978 ( marchiato Mobilgirgi). Imprese che gli valsero l’inserimento nella hall of fame biancorossa.
Terminata l’attività ad alto livello decise di restare a vivere in Italia, tra le Prealpi e il Lago Maggiore, con l’amatissimo sassofono tra le mani. Uno strumento speciale, perchè ottenuto per pochi dollari da un’altra leggenda del basket americano, Kareem Abdul Jabbar.
Finita la carriera ad alti livelli il buon Yelverton che però lui di voglia di giocare ne aveva ancora, scese a giocare in Serie D con la squadra di Saronno, trascinandola a vincere il campionato senza perdere una singola partita. Con la Robur rimarrà parecchi anni, da giocatore prima e da allenatore poi, per passare infine a quella che sarebbe stata la sua vera passione: insegnare ai ragazzini.
Nel corso degli anni ’90 fino agli inizi del 2000, Charlie Yelverton ha allenato centinaia di ragazzini più o meno grandi del settore giovanile di Saronno. Per loro poter imparare la pallacanestro da uno che ha giocato in NBA e ha vinto trofei tra i più importanti in Europa, soprattutto se poi è un personaggio dalle doti umane così particolari come Charlie, è una cosa che in pochi hanno la fortuna di poter vantare.
Se mai vi capitasse di mettere piede nel piccolo palazzetto della Robur Saronno, squadra lombarda che negli ultimi decenni ha fatto un po’ di altalena tra quelle che una volta, nostalgicamente, si chiamavano Serie B2 e C1, ci mettereste ben pochi secondi ad accorgervi di una gigantografia ritraente un uomo di colore, che campeggia proprio sopra gli spalti all’altezza della metà campo. Tale gigantografia ritrae proprio Charlie Yelverton, quell’uomo di colore dallo sguardo disilluso, forse un pò amaro, ma profondamente buono.
Questo era ed è Charlie Yelverton. Un uomo dalle capacità cestistiche immense, tanto da averle insegnate nei camp estivi anche a un bambino il cui padre giocava qui in Italia. Ragazzo poi finito a giocare in NBA prima con l’8 e poi con il 24 sulla schiena (stiamo parlando del mitico Kobe Bryant, recentemente scomparso, che dopo aver firmato il primo contratto di sponsorizzazione con l’Adidas, gli spedì scatoloni pieni di materiale tecnico come ringraziamento).
Un uomo anche dallo spiccato altruismo e dalla limpida umanità, tanto che dopo il terribile terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 andò per una settimana a stare vicino ai bambini de L’Aquila, giocando a basket e suonando il jazz per aiutarli in un momento particolarmente difficile.
Un uomo capace di fare a 69 anni 120 chilometri per venire a vedere i Bionics contro la Casoratese, per dare sostegno a Joao Kisonga, il centro 33enne insultato in questi anni, dagli spalti ma anche dai giocatori in campo, per il colore della pelle.
Recentemene l’ex campione è anche volato negli USA per una cerimonia voluta dal suo college d’origine. Nell’annata 1970/71, alla Fordham University incantò New York con una stagione leggendaria in cui segnò 676 punti. Nell’occasione la sua università ha ritirato
definitivamente la maglia n.34, quella di Charlie Sax. Un riconoscimento più che meritato, sia per le sue qualità cestistiche sia per il suo coraggio civile.
Oggi Music Men, Charlie Yelverton, vive a Miazzina, un piccolo paesino sulle montagne sopra Verbania, dove continua a suonare il suo sax. Ma vive anche sulle pareti di un piccolo palazzetto nel quale ha trascorso infinite ore ad insegnare la pallacanestro e l’amore per il basket a centinaia di ragazzi. E pazienza se le giovanili di Saronno non erano la NBA di Portland. Lui sicuramente è stato più contento così.
Può dire orgogliosamente di vivere come vuole: contrastando la discriminazione.