Fuoriclasse del giornalismo, ultimo dei “cantaglorie”
Di Adalberto Scemma – Redazione Panathlon G.Brera Università Verona
Eclettico e bulimico, cantore di un’epoca di straordinaria energia, batteva a macchina un articolo in italiano e contemporaneamente ne dettava un altro al telefono in francese
Ci ha lasciato Gian Paolo Ormezzano. L’addio degli amici non mi coglie più di sorpresa, oggi che l’orologio del tempo ha accelerato il giro delle lancette. Mi è però di conforto la presenza di ricordi talmente sedimentati da appartenere a un eterno presente. Tanto basta a farli viaggiare, gli amici di così lunghi scampoli della mia vita, sempre accanto a me.
Ho letto con emozione il ricordo di Gian Paolo che Tony Damascelli e Roberto Beccantini hanno consegnato a “Il Giornale” e al “Corriere dello Sport-Stadio”. Appartengono entrambi alla razza protetta dei Cantaglorie, i panda del giornalismo che GPO ha raccontato in un libro gioiello che è un po’ saggio e un po’ memoir, una serie di pagine dedicate alla trasformazione del mestiere e ai suoi compagni di viaggio.
La tesi del libro – ne scrive su “Lo Slalom” Angelo Carotenuto, panda a sua volta – è che nel giornalismo sportivo siano esistite tre epoche. La prima è quella dei cantori, quella dell’amore per lo sport, con le parole usate come musica, gli articoli scritti come canzoni. L’epoca dei dannunziani e dei loro epigoni Orio Vergani e Bruno Roghi ma anche di Vladimiro Caminiti che pure appartiene a un’epoca successiva, Vladimiro che inchiodava l’attimo alla memoria. “Cantavano, i cantori, lo sforzo, la fatica, il sudore, le puzze, le piaghe. Lavoravano bene di fantasia, inventavano molto, alla fin fine ingannavano poco. Avevano la confidenza piena degli atleti, quando non anche la sottomissione. Accrescevano o impreziosivano la popolarità dei campioni, o addirittura creavano i campioni. Magari non sapevano molto di sport, ma questo in fondo era un bene, liberava di più e meglio l’immaginazione”.
La seconda è stata l’epoca degli studiosi, l’epoca dell’erotismo, che è stata anche se non soprattutto accademia, studio dell’amore. “Gli anni Sessanta sono stati quelli dei fervori per il presente che costruivamo e per il futuro nel quale credevamo e speravamo, sono stati quelli della nascita di un’Italia viva e valida e bella da raccontare nel suo work in progress, senza bisogno di mediazioni fornite dalle fantasie altrui”. Gianni Brera, per capirci.
La terza età è la nostra, l’epoca della pornografia, la rappresentazione oscena o quanto meno esplicita dell’atto amoroso. Sono gli anni dell’abuso di parole e di immagini. L’età dell’eccesso, definito dal poeta-filosofo Geolier sinonimo di mancanza. Tutto sappiamo, tutto possiamo vedere, niente stupisce, niente rimane.
Niente rimane, dunque? È questo l’esito ineluttabile e inequivocabile del giornalismo di oggi? Di questo passo non rimarrà neppure il piacere della lettura, oggi ormai un rito per iniziati, un piacere solitario, una sorta di onanismo mentale da aggiungere, ecco! alle tre categorie dell’amore per lo sport che il terzo occhio di Ormezzano vedeva ormai come istituzionali.
Si può andare oltre Ormezzano, a proposito, se parliamo di quell’eclettismo bulimico che ha caratterizzato tutta la sua vicenda professionale? Difficile. Molto più facile, invece, che sia proprio Ormezzano (non è un paradosso) ad andare…oltre Ormezzano. Roberto Beccantini racconta così, sul “Corriere dello Sport-Stadio” un episodio che meglio di tutti lo descrive: “Le onde della memoria si schiantano contro gli scogli della vecchiaia ma mi sarà impossibile dimenticare quel giorno, uno qualunque, che entrando in redazione, lo beccai nella sua tana, solo. Solo per modo di dire. La cornetta del telefono incollata all’orecchio grazie a una gota reclinata e a un braccio rannicchiato a mo’ di gancio; la voce che dettava un pezzo e le mani che, sui tasti, ne picchiettavano un altro”.
Può Ormezzano, dunque, andare oltre Ormezzano e il suo eclettismo bulimico? Certo che può. A me è capitato di assistere a una vicenda analoga a quella testimoniata da Roberto Beccantini con un esito, però, persino extralarge. Europei di calcio 1988, sala stampa di Dusseldorf dopo la partita inaugurale tra l’Italia e la Germania (1-1, gol di Mancini). Ormezzano batte un articolo martoriando con forza i tasti dell’Olivetti e continua a battere anche quando squilla il telefono. Afferra la cornetta, dunque, l’aggancia all’orecchio e senza smettere di scrivere comincia a dettare. Tutto nella norma, conoscendolo. Del tutto fuori norma, però, è la lingua che Ormezzano usa al telefono: non l’italiano ma il francese. Est-ce suffisant ?