Affronti alla memoria d’un Grande dei pedali e del cuore – Quel suo autografo del 16 maggio 1985
Di Claudio Beccalosssi –Redazione Panathlon Verona 1954
Come se non bastassero i distacchi d’intonaco dovuti all’umidità ed all’incuria, sono sempre più nel mirino dei vandali i murales del “percorso ciclo-pedonale” dedicato a Gino Bartali, il Ginettaccio nazionale, campione della bicicletta e della solidarietà. Nato a Ponte a Ema il 18 luglio 1914, è scomparso a Firenze il 5 maggio 2000. Le sue spoglie riposano nel cimitero del paese natale ai piedi della Fattucchia, lungo Via Chiantigiana, dov’è stato allestito il Museo del ciclismo a suo nome.
Fu professionista dal 1934 al 1954 e vinse tre Giri d’Italia e due Tour de France. Oltre che in molte corse, primeggiò in due Giri di Svizzera, quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia.
Il breve tragitto di circa 400 metri, che unisce le vie Badile (quasi di fronte all’ingresso del Cimitero ebraico cittadino) e Pisano, in borgo Venezia, venne inaugurato domenica 8 maggio 2016 nel ricordo del “Ciclista Gino Bartali Medaglia d’oro al Merito civile 1914 – 2000” ed alla presenza del nipote Giacomo Bertagni, figlio di Bianca Maria Bartali.
Il vicepresidente della Comunità ebraica, Ariè Tieger, rappresentò gli ebrei veronesi nel ringraziamento ufficiale di quanto compiuto da Bartali, tra settembre 1943 e giugno ’44, quando fu costretto dagli eventi bellici ad interrompere l’attività agonistica ed a lavorare come riparatore di ruote di bicicletta. Agendo nell’ombra con coraggio e furbizia, contribuì a scongiurare arresti, uccisioni e deportazioni nella maniera a lui più congeniale, cioè pedalando e trasportando documenti, nascosti sotto il sellino e nelle tubature della sua bicicletta, che permisero la sopravvivenza di circa 800 ebrei italiani, francesi e jugoslavi.
Il toscanaccio fece diversi viaggi in bici dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi, portandosi appresso, abilmente celate, carte e foto tessere destinate ad una stamperia clandestina che, poi, provvide a realizzare certificazioni false necessarie alla fuga di ebrei.
Stando a Simone Dini Gandini, autore de “La bicicletta di Bartali”, “nell’autunno del ’43 Bartali venne arrestato dalla polizia fascista: a Firenze c’era il temutissimo comandante Mario Carità, persona crudele e spietata. Venne fermato ma nessuno ispezionò la sua bicicletta: grazie a questa dimenticanza il campione si salvò”. Per sfuggire ad un’eventuale cattura ulteriore, dovette infine sfollare a Città di Castello (Perugia), rimanendo nascosto per cinque mesi tra parenti ed amici.
Inoltre, nel corso dell’occupazione nazista nascose, in una cantina di sua proprietà, una famiglia ebrea fino all’arrivo degli Alleati. “Il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie s’appendono all’anima, non alla giacca”, ribadì il fuoriclasse che insabbiò a lungo le sue gesta di rischioso altruismo.
Per tali suoi meriti finalmente resi pubblici e riconosciuti anche se postumi, il 31 maggio 2005, a Roma, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferì e consegnò alla moglie sposata nel 1940, Adriana Bani (1919-2014), la Medaglia d’oro al merito civile alla memoria del marito.
Il 2 ottobre 2011, poi, il nome e la figura di Gino Bartali furono annoverati tra i “Giusti dell’Olocausto” nel “Giardino dei Giusti del Mondo” di Padova (zona Terranegra). Ed il 23 settembre 2013 l’asso di ciclismo e d’umanità fu dichiarato “Giusto tra le nazioni”, su conferimento dello Yad Vashem, “Ente nazionale per la Memoria della Shoah”,istituito con legge del memoriale del 19 agosto 1953 del Parlamento israeliano (Knèsset).
Personalmente rammento un veloce ma incisivo scambio di battute con lui, il 16 maggio 1985, in occasione della partenza proprio da Verona del 68° Giro d’Italia che si concluse a Lucca il 9 giugno successivo, con la vittoria di Bernard Hinault. Il prologo scaligero (cronometro individuale di 6,6 chilometri) fu vinto da Francesco Moser. Il tipico accento toscano di Bartali, roco e roboante, replicò bonariamente al mio avvicinarlo per un autografo che non mi negò, firmato proprio sulla copia in… rosa de “La Gazzetta dello Sport” che tenevo tra le mani. L’approccio ad un Grande, dei pedali e del cuore.
Peccato oggi, però, per quei disegni murali deturpati dai furfantelli della bomboletta spray. Operedi due veronesi, Michele De Mori e Ilpier (Pier Paolo Spinazzè), con il supporto di altri artisti da strada.
Il muro a lato del tratto ciclo-pedonale dove realizzare i disegni venne concesso dall’azienda Siof (Società italiana ossidi ferro) srl, produttrice di ossidi ferrosi dal caratteristico colore sull’arancio, La ditta finanziò le spese per il materiale necessario, a patto che gli esecutori tinteggiassero appunto d’arancio lo sfondo della parete esterna, adesso in preoccupanti condizioni.
LA CICLABILE DELLA VERGOGNA
foto di Claudio Beccalossi