Fisdir Sicilia – Convegno sulla riforma della Legge quadro e l’importanza del linguaggio inclusivo
di Sarina Longi Ufficio Stampa Fisdir Sicilia
Palermo – Si è svolto lo scorso venerdì 22 marzo, all’interno della Sala delle Carrozze di Villa Niscemi a Palermo, il convegno intitolato “Condizione di disabilità, persone con disabilità – Può una semplice parola cambiare il concetto di disabilità?” che ha visto la partecipazione e la relazione, tra gli altri, del delegato regionale Fisdir Sicilia, Roberta Cascio, della dottoressa Marina Bellomo, formatrice e vicepresidente della ASD Delfini Blu e del prof. Giulio Polidoro, docente, referente scuola Fisdir Sicilia e presidente della ASD Il Sottomarino.
L’evoluzione della terminologia sportiva e paralimpica da ieri ad oggi e la contrapposizione tra il linguaggio inclusivo proposto dalla riforma sulla Legge quadro e la reale percezione che la collettività ha della persona con disabilità: questo il fulcro dell’intervento del delegato regionale Fisdir Sicilia, Roberta Cascio. La stessa ha poi aggiunto: “La percezione che le persone non disabili hanno della disabilità è diversa rispetto alla terminologia proposta dalla riforma e credo che ci sia ancora molto su cui lavorare per migliorare questa situazione. Il legislatore, in questo, è più avanti rispetto a quella che è l’educazione al vivere civile dei cittadini che, spesso, considerano dei nostri legittimi diritti (parcheggi risevati, priorità di accesso ai vari uffici pubblici ed altre agevolazioni) dei veri e propri privilegi e non delle necessità”.
Ha fatto, invece, un excursus sull’evoluzione e sulla storia dello sport rivolto alle persone con disabilità il prof. Giulio Polidoro, con un focus sulla Fisdir e sulle sue attività: “Lo sport per disabili, in Italia, è arrivato un po’ più tardi rispetto ad altri Paesi e, inizialmente, ad occuparsene era l’INAIL e le attività sportive erano principalmente rivolte a persone con disabilità fisiche. Nel corso degli anni, sono andate via via sviluppandosi attività rivolte anche a persone con altri tipi di disabilità che avevano, però, negli anni ’80 la nomea di handicappati, terminologia oggi non più in uso. Nel 2009 nasce la Fisdir, la Federazione che raccoglie tutte le discipline rivolte a persone con disabilità intellettivo relazionali, che ad oggi registra più di 11 mila tesserati tra atleti, tecnici, dirigenti e collaboratori. Sul fronte della terminologia, nel corso degli anni si è passati da definizioni quali handicappato, invalido, menomato, inabile fino ad arrivare a diversamente abile che, a mio avviso, è una definizione che rappresenta intrinsecamente una forma di discriminazione in termini, quasi stesse ad indicare che esistono persone anche “normalmente abili”. Altre definizioni ipocrite ed edulcorate, a mio avviso, sono quelle di non vedente e non udente, oggi correttamente definiti con “cieco” e “sordo”, per non parlare della definizione di “persona speciale” rivolta in particolare agli autistici che è un’edulcorazione in termini che nasconde una discriminazione molto forte. Oggi è più corretto parlare di “società disabile”, perché è il contesto sociale nel quale è inserita a rendere la persona davvero disabile”.
“In un’analisi del riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità – ha dichiarato Marina Bellomo – emergono dei concetti fondamentali che sono: il riconoscimento dei diritti civili e sociali, compreso il diritto alla vita indipendente, di piena inclusione sociale e lavorativa e il superamento delle barriere non solo ambientali, ma soprattutto culturali e comportamentali. Io credo che tutti questi concetti possano consentire alla persona con disabilità di raggiungere un elemento chiave per la propria vita: l’autodeterminazione. Essa consente a tutte le persone, con disabilità o meno, di garantirsi benessere, buona qualità della vita e felicità. Per essere raggiunta, però, vanno superate sia la concezione del supporto alla disabilità con interventi di tipo assistenziale che le barriere culturali e vanno promossi progetti di vita che consentano di rispettare le propensioni e le inclinazioni di tutte le persone. Infine credo che l’autodeterminazione consenta di sviluppare l’individualità di ciascuna persona e di valorizzarla pienamente”.