Una pagina Amacord del 2017, quando Panathlon Planet era ancora l’House Organ dell’Area1 –
Dalle bottigliette d’acqua sigillate piene di sabbia alla pipì nei serbatoi: gli aneddoti dei protagonisti della Dakar.–
Gli aneddoti corrono veloci come le gomme nel deserto. La passione di Elisabetta Caracciolo, Francesco Perlini, Francesco Catanese e dei gemelli Aldo e Dario De Lorenzo, accomunati dall’aver partecipato al rally più famoso al mondo, traspare da ogni parola. Sono stati loro i protagonisti della serata che il Panathlon Padova ha dedicato alla Dakar, al Centro Piroga di Selvazzano.
Perlini, imprenditore (è presidente dell’azienda che porta il suo cognome e produce camion) e pilota veronese, la Dakar l’ha vinta addirittura due volte, nel 1992 e nel 1993, proprio nella categoria camion, ma nel suo palmares figurano anche i successi alla Parigi-Città del Capo, alla Parigi-Mosca-Pechino e al Rally dei Faraoni. «Nell’87 assieme a mio padre disegnai un camion per partecipare alla Dakar, su richiesta di Clay Regazzoni: un bestione da 12 tonnellate con quattro ruote motrici, che si guidava come un kart e poteva raggiungere i 170 chilometri orari. All’ultimo, Regazzoni si ritirò dal progetto e allora decisi di correre io. Avevo 27 anni, è stata la mia prima volta».
Nei suoi ricordi la vittoria sfiorata nel ’91: «Avevo 16 ore di vantaggio sul secondo ma a tre tappe dal traguardo saltò la sospensione e io, che volevo dimostrare che i mezzi Perlini non si rompono mai, non avevo pezzi di ricambio». Ma le soddisfazioni sono arrivate dopo: «Ricorderò sempre quella volta che Jean Todt, che allora era a capo della Citroen, mi avvicinò e mi disse: Chapeau monsieur Perlini, noi spendiamo 15 miliardi all’anno per sviluppare i nostri motori e poi ci arriva davanti il suo camion». Ma ci sono anche tante “simpatiche” disavventure. Una volta, per esempio, conti alla mano sarebbero serviti due litri di gasolio in più per completare una tappa di 600 chilometri, «e così decidemmo di far salire il livello nel serbatoio facendoci pipì dentro. Andò bene».
Aldo e Dario De Lorenzo, padovani adottivi, sono stati i primi italiani al traguardo della nel 2005: «Avevamo alle spalle 15 anni di fuoristrada agonistico quando abbiamo capito che avremmo potuto dire la nostra, così, nel 2000, ci siamo iscritti alla prima Dakar». La loro auto era in esposizione nel parcheggio della Piroga. A introdurli, la giornalista sportiva Elisabetta Caracciolo, spigliata quanto competente, unica al mondo ad aver disputato 24 Dakar, più di 15 Rally dei Faraoni e una decina Rally in Tunisia e altrettanti in Marocco.
L’ultimo a parlare è stato Catanese, due metri d’uomo, esperto di off road con le moto enduro bicilindriche. Dopo la sfortunata esperienza dell’ultima edizione si ripresenterà al via a gennaio per la prossima. «Sono entrato in crisi di disidratazione nel corso della quinta tappa, quanto mi sono trovato imbottigliato dietro a una trentina di camion che sollevavano la terribile “Fesch Fesch”, l’impalpabile sabbia del deserto che si infila dappertutto (e che Perlini racconta di aver trovato anche dentro le bottigliette d’acqua sigillate, ndr). Ricordo che il medico che mi ha soccorso ha dovuto misurarmi la pressione tre volte, perché non riusciva a trovare la minima». La domanda è d’obbligo: perché tornare, allora? «Perché è una sfida. Senti qualcosa dentro che ti dice: devi esserci, anche se non sei un professionista e anche se certe tappe sono tremende e ti vedono correre dalle 4 di mattina alle 9 di sera. Ma senti quella voce che ti chiama».
Nelle foto (di Lino Rubini) i protagonisti della serata alla Piroga e i piloti Aldo e Dario De Lorenzo davanti all’auto usata alla Dakar
(fonte: Diego Zilio – Panathlon International Padova 2017 )